Gli Angeli della Città
Quando
la città si quieta ed il buio inizia il suo lavoro su strade, giardini e
persone, quando i lampioni si accendono ed i fantasmi escono
dagli angoli nascosti dove sono rimasti per tutta la caotica giornata, allora e
solo allora inizia la vita degli angeli metropolitani.
Non sono angeli qualsiasi, sono quelli esperti, quelli che
sanno cosa significa essere disperati, non avere piu' nulla se non un cartone
come tetto e come letto, quelli che, in quanto angeli, si sacrificano per gli
altri.
Gregorio era uno di quelli. Ogni notte lasciava a casa la
sua vita ed usciva in cerca delle altre, quelle buttate via.
Angela (a volte le coincidenze...) era un fantasma. Il
fantasma di sé stessa, il fantasma della donna che era stata un tempo. Un
guscio rotto e vuoto che si aggirava nei pressi della Stazione Centrale
cercando di passare inosservata a chi arrivava e partiva, ai gruppi di
delinquenti che li' stazionavano in attesa delle loro vittime, ai piccoli
spacciatori, forse piu' disperati di lei.
Un barbone vecchio e puzzolente la afferro' da dietro e con
violenza cerco' di strapparle il cappotto enorme e liso che la infagottava.
Tento' una debole difesa, ma l'uomo le sferro' un pugno sulla testa facendola
stramazzare al suolo svenuta.
Si riprese poco dopo, tremando dal freddo ed incontrando
sopra di lei due occhi straordinariamente azzurri che la stavano scrutando con
preoccupazione. Penso' di essere finalmente morta e filata dritta in Paradiso.
Nessuno, da decenni, l'aveva piu' guardata interessandosi a lei, quello doveva
essere un angelo.
In fondo aveva ragione.
-Coraggio- disse l'angelo - ora chiamo un'ambulanza cosi'
passerai almeno una notte al coperto, ora bevi questo caffé caldo, ti farà
bene- Lei cerco' di metterlo a fuoco, ma il colpo in testa e le diottrie
mancanti le impedivano di vedere quel ragazzo che le parlava come se lei fosse
ancora una persona. Gregorio stava tentando di ignorare il cattivo odore che la
donna emanava e la crosta di sudiciume che le nascondeva il viso e le mani.
Cercava di rimandare giu' la pietà per quel povero essere umano abbandonato a
sé stesso, la rabbia e la nausea verso quel prossimo che voltava sempre la
testa dall'altra parte. Chiese al suo compagno di chiamare l'ambulanza ed
avvolse con tenerezza Angela in una coperta, circondandole per un momento le
spalle ossute. Lo sguardo di lei lo ripago' dell'amarezza che gli stringeva il
cuore. La donna provo' per un attimo una punta di un sentimento sconosciuto che
forse si poteva chiamare felicità. Poi due volontari la aiutarono a stendersi
sulla barella e lei se ne ando' riconoscente verso un letto pulito, un bagno e
forse una nuova sistemazione.
Gregorio la saluto' come si saluta un'amica e riprese la sua
ronda da angelo della notte.
Mariami un tempo, quando era bambina, viveva in un villaggio
del Kenya, in una casa fatta di paglia e lamiera che si surriscaldava al sole
ed aiutava la madre e le sorelle a coltivare una terra povera e severa. Un
giorno, aveva 14 anni ed ormai era una donna, parti' sola e spaventata, con una
signora che non conosceva, per l'Eldorado. Cioè l'Italia. Avrebbe avuto un
lavoro dignitoso, guadagnato una montagna di soldi, mangiato due o forse anche
tre volte al giorno. Sei fortunata, le aveva detto la madre.
Le aveva creduto ed era partita con quella donna.
La sua fortuna fu quella di arrivare in un Paese
sconosciuto, non capire una parola, venire caricata con altre due ragazze su
una vecchia auto da due uomini che puzzavano di vino ed aglio ed essere
rinchiusa tra quattro mura. Tre brande, una finestrella in alto ed una porta
sempre sbarrata. Fu cosi' che Mariami conobbe la bestialità degli uomini, le
botte, rincontro' la fame e capi' cosa significasse essere quello che i suoi
avi furono: una schiava.
Ogni sera alle 22 precise veniva scaricata con le altre due
vittime nei pressi del Cimitero Monumentale, famigerato e molto frequentato
luogo di domanda ed offerta incessanti e lei, notte dopo notte, offriva il suo
corpo e la sua anima in cambio di sudicio denaro che le veniva prontamente
sequestrato dai suoi aguzzini. Aveva imparato quel poco di italiano che bastava
per condurre le necessarie trattative, per il resto dell'esistenza, se cosi' la
si poteva chiamare, non parlava perchè ormai non aveva piu' nulla da dire,
nemmeno a sé stessa.
Un'auto anonima, come anonime erano tutte le altre, si
fermo' vicino a lei ed una voce maschile la chiamo'. Una voce che non la
insultava, gentile, che lasciava trasparire comprensione e pietà.
Ma lei ormai non si lasciava piu' ingannare dalle voci e
dagli uomini, percio' si avvicino' guardinga e sciorino' il suo menu'.
-Non mi interessa- disse la voce -ma se vuoi salire io ti
paghero' solo per parlare con me-
Mariami si giro' verso l'angolo in cui, al buio, stava la
loro, di loro tre, "guardia del corpo". Lui le fece cenno di salire
in fretta. Lei ubbidi'. L'uomo parti' con calma e si fermo' non lontano dal
viale, in una bella via con tante case di gente normalmente felice. Lei , come
d'abitudine, allungo' le mani, lui la fermo' dicendo -No, non mi devi nulla,
sono io che devo a te. Ti devo un'altra vita, la tranquillità, quella fiducia
che hai disimparato ad avere, la tua adolescenza rubata. Mi chiamo Paolo, ma
per tutti sono Don Paolo e sono un prete. Rappresento quel padre che hai
perduto o che forse non hai mai avuto, posso essere la tua salvezza, lo
strumento che ti porterà via da questa strada per insegnarti un'altra volta a
vivere.
La ragazza lo guardo' stranita, faticava a capire. Poi
abbasso' la testa, gli occhi pieni di lacrime e mormoro' -Si' padre, portami
via-.
Non sarebbe stato semplice, non lo é mai, ma quello era il
suo lavoro ed anche la sua missione.
Un prete di strada, uno dei tanti anonimi angeli.
Alice era una ragazza qualsiasi. Non ordinaria no, anzi
quasi bella. Di quella bellezza sottile e discreta che oggi giorno passa
inosservata. Piuttosto intelligente, sfortunata in amore e con un lavoro
precario. Una ragazza come tante. Viveva sola in una piccola casa in affitto,
una casa che amava, con un terrazzino riempito di verde e di fiori. A tenerle
compagnia due gatte tanto affettuose quanto dispettose. Ma lei le amava per
quel che erano: la sua compagnia migliore.
Il suo cuore era momentaneamente libero e tutto sommato
andava bene cosi'. Usciva con gli amici, non aveva orari da rispettare né
fidanzati da accontentare e sopportare.
Quella sera era uscita : la cena con le amiche di sempre, il
locale alla moda. Si erano divertite, avevano riso, parlato, bevuto. Poi,
mentre si stava dirigendo al parcheggio in sosta vietata come spesso succedeva,
era successo. A lei che non se l'aspettava, a lei che tra le tante era la meno
appariscente. Le era arrivato alle spalle silenzioso e silenziosamente l'aveva
stretta in un abbraccio che l'aveva paralizzata. La mano sulla bocca per
impedirle di gridare. Non lo avrebbe fatto perché la paura cieca le aveva tolto
la parola e la facoltà di pensare razionalmente. L'aveva buttata sul selciato
sporco e se l'era sentito addosso: una mano sempre sulla bocca l'altra che
frugava e strappava, il respiro pesante, l'odore sgradevole. Aveva chiuso gli
occhi, animale in trappola reso inerme dal terrore. Aveva pensato, chissà
perché, alla nonna che le aveva fatto da seconda madre o, piu' precisamente, da
padre. Cosi' simile a lei, cosi' rimpianta, piccola donna forte e sicura,
appoggio insostituibile. Aveva invocato la nonna, chissà perché, aveva sentito
la sua presenza, chissà come.
Non voleva sentire, non voleva pensare, un peso
insopportabile addosso,la mente altrove, il cuore che batteva forte contro la
gabbia toracica, come se volesse scappare anche lui. Poi, all'improvviso, si
era sentita libera: piu' niente che la schiacciava a terra, l'aria divenuta
respirabile, i rumori che piano piano tornavano . Non voleva aprire gli occhi,
convinta fosse solo una reazione della mente, una difesa estrema del corpo
prigioniero di una bestia predatrice. Una voce la stava chiamando: -E' finita,
non aver paura, é finita! Avanti apri gli occhi, dimmi come stai, dammi la
mano, non devi aver paura di me. Ecco guarda, vedi il tesserino? Sono un
ragazzo ma anche un poliziotto, non ti farà piu' del male, non aver paura! -
Alice apri' gli occhi pieni di lacrime e vide davanti a sé, accucciato vicino,
un ragazzo che le porgeva la mano. La afferro' esitante e scoppio' in un pianto
liberatorio. Lui, Nicola, la abbraccio' con circospezione e la tenne cosi' per
un tempo che a lei parve interminabile. Intanto era arrivata una pattuglia
della Polizia che aveva preso in consegna la bestia, strappatale di dosso ed
atterrata quindi ammanettata da Nicola. Anche un'ambulanza stava arrivando per
lei, per prestarle le cure del caso. Lui la aiuto' ad alzarsi e lei cerco' di
rimettere insieme quel che restava dei suoi indumenti. Barcollo' lui la
sorresse. Aveva bisogno di sentire la vicinanza di un essere umano, di una
persona, del suo salvatore. Lui le passo' un braccio intorno alle spalle, lei
senti' il suo calore e ne fu confortata. Cerco' di far uscire un sorriso dalle
labbra sanguinanti, lui le sorrise e l'accompagno' adagio verso l'ambulanza.
Gli infermieri l'aiutarono a salire, lei si volto' un'ultima volta a guardare
con riconoscenza il giovane poliziotto, angelo salvatore, che la stava salutando con la mano.
Dietro di lui la nonna sorrise, si aggiusto' le ali , diede una carezza a Nicola e spari' nella notte.
Fine
Marisa Cappelletti