giovedì 30 marzo 2017

Filosofia ... vitale



Ah ragazzi, la vita! 
Questa scatola a sorpresa che ci hanno regalato, questa scatola magica che ogni giorno. fino a quando non ci è dato sapere, alza automaticamente il coperchio e butta nel nostro mondo pagliacci e fantasmi, palloncini colorati di felicità ed allegria, stelle filanti di dolore ed amarezza, coriandoli luccicanti di disillusione e rimpianto.
Arrivati verso la fine della strada potremmo pensare di conoscerla un po', ma non tanto, non fino al punto di sapere infine come agire, come andare avanti, come prenderla, come aprire la scatola quando lo desideriamo ed in che modo chiuderla e sigillarla secondo l'umore e l'energia, la speranza e lo sconforto.
Lungo la via pero' ognuno di noi imparera', a proprie spese naturalmente, che ogni attimo vissuto non é buttato, che ogni decisione presa non é mai sbagliata perché in quel momento pareva l'unica giusta e possibile, che gli errori si pagano si', ma insegnano ad andare avanti, forse a farci sentire migliori, che i grandi progetti sono importanti, ma le piccole cose aiutano di piu', che ogni uomo, anche il piu' meschino e miserabile, é una creatura degna di rispetto e comprensione, che l'amore ci rende migliori, che il dolore ci fa piu' forti e che le persone anziane, come io sono, a volte credono di poter filosofeggiare sulla vita ma, in fondo, anche loro devono ancora imparare.
Molto.


Marisa Cappelletti



domenica 26 marzo 2017

Libri



Ieri ho fatto una piacevolissima passeggiata al Mudec (Museo delle Culture) aperto nell'ex area Ansaldo in via Tortona a Milano, tra le "bancarelle" delle case editrici indipendenti.
Visita interessante, interlocutori preparati e gioviali, libri belli e meno belli, sia per le copertine che per i contenuti. Ho acquistato un romanzo di uno scrittore bulgaro, Georgi Gospodinov, perché il titolo mi piace tantissimo (Fisica della malinconia) e perché l'addetto della casa editrice Voland ci ha messo una tale passione nell'illustrarmi sia il romanzo che le opere delle sue edizioni, che non potevo lasciare il libro al suo destino.
Inoltre ad un certo punto dell'esposizione, ho incontrato una bella e giovane ragazza che mi ha chiesto di potermi leggere e dedicare un sonetto di un filosofo a mia scelta. Ho optato per Platone ed ho avuto in cambio un notevole epigramma (stranamente) leggero e godibile.


"...i Minotauri nascosti dentro di noi..."


Marisa Cappelletti




sabato 25 marzo 2017

Gioco serale


Piu' che una poesia é un divertissement
che in alcuni punti é poco comprensibile
ma non ho alcuna intenzione di spiegare.
E spero mi perdonerete.

Rapsodia nel blu


La musica accompagna  la sera
Che dolce ci avvolge nel blu
Amore ricordi com’era
E com’è che purtroppo non fu?

In fondo non ero poi male
Cosi’ come bello eri tu
Ma la musica suonava ancestrale
E la notte era fredda laggiu’

I miei fianchi erano troppo  acerbi
Il mio seno non era per te
Le tue mani giacevano inermi
Il serpente era solo un cliché.

Ora qui davanti al mare
Riprendiamo il discorso di un di’
Ma che differenza  mio amore
Se sul letto ti aspetto cosi’!


Siamo seri tesoro  e baciami forte
Stringimi stretta  amami prendimi
Dividiamo stasera la sorte
Siamo giovani e belli, tu credimi.

Io ti voglio come tu mi vuoi
Questa notte è soltanto nostra
La musica la facciamo noi
Vieni  amore  sali su questa giostra

Fammi ridere gridare  godere
Dimmi tutto   non negarmi niente
Non sappiamo cosa puo’ accadere
Ma fa che tutto sia ardente.

Sei tu la mia musica ora
Il maestro che suona su me
Sulla donna che oggi ti adora
E tu sei l’uomo, sei l’uomo per me.

Mina
E' l'uomo per me


Marisa Cappelletti



venerdì 24 marzo 2017

Il mio gioco


Non amo e non so giocare a carte, 
ma alla mia età ho quasi imparato 
a giocare, da principiante, 
una partita  ben piu' importante.


Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio
Giocatori di carte

La partita


Seduta intorno al tavolo con altri giocatori come me
aspetto l'ennesimo giro: si vince o si perde, si resta o si va.
Il mazziere decide la sorte la fortuna non abita qui.
Il fante ed il re aspettano la regina che tarda l'entrata,
i quadri ed i fiori combattono i picche che avanzano lugubri
ma i cuori invadono il campo: il fato è ancora con me.
L'azzardo ci unisce e ci domina. la forza è compagna decisa.
Non lascio a metà la partita: sono io la regina di un cuore
che la mano non passerà, il mio gioco fino in fondo lo faccio,
la mia vita ricomincia da qui: cambio tutte le carte e poi vedo,
vinco e perdo ma non abbandono,  punto e lascio e continuo
a guardare il mazziere negli occhi: io non bleffo e non baro
del destino voglio esser padrona, le mie carte le gioco da me.





Marisa Cappelletti






giovedì 23 marzo 2017

Londra, 22 Marzo


Ancora e ancora! 
Non ha fine questa folle carneficina in nome di un Allah che non esiste cosi' come è stato costruito da folli seguaci di una religione che certo non vuole né prevede la morte di cittadini inermi.
Una falsa religione che predica lo sterminio di chi vive la propria vita nella libertà di parola e pensiero, di chi non combatte il prossimo che non la pensa come lui, di chi rispetta l'uomo in quanto tale e con l'uomo il suo credo qualunque esso sia, le sue chiese i suoi monumenti le sue città la sua vita!
Ancora e ancora!
Non ha fine la difesa della propria libertà di fronte a persone che vogliono imporre con la forza ed il sangue credenze folli e poco condivise, non ha fine la ferma volontà di qualsiasi uomo libero di voler difendere quello che gli appartiene e che si é conquistato con la ragione ed il sentimento.
E' inutile questo proselitismo nei confronti di persone psicologicamente deboli nella speranza che aderiscano e mettano in atto atti terroristici che non ci fermeranno mai.
Ancora e ancora!
Contro la follia, la sete di sangue innocente, la menzogna e la bestemmia.
Tutto il mondo pacifico, pensante, credente o ateo non importa, ma umano senza dubbio alcuno, é schierato come un muro invalicabile contro queste bandiere nere che non ci fanno né ci faranno mai paura.     


Marisa Cappelletti



mercoledì 22 marzo 2017

A volte sai l'amore


A volte, per caso o per fortuna 
succede il grande amore.
A volte, per volontà o destino
poi il grande amore va. 




Ma l'amore

Credo di aver perso per strada qualche cosa,
forse un po' di slancio o forse l’entusiasmo, non lo so.
Non so cosa tu possa fare per rimediare,
non so se sia possibile  tornare.
E' sempre amore questo,  ma ...

...ma era sconsiderato, immenso, svergognato
ed intimo,  cosi' sorprendentemente intimo.
Era un uragano  che ci sconvolgeva dentro,
un'illusione irripetibile, un autunno vermiglio
ed oro contro l’inverno che  aspettava invano.
C'é il fuoco, ancora brucia  ma...

….ma l’esagerazione che un grande sentimento
spinge furiosa le azioni ed i pensieri
esagerati  si’ ma coscienti a questa età,
è favilla che si sta spegnendo sopra un falo’
ruggente che per noi non esiste piu’



Marisa Cappelletti



martedì 21 marzo 2017

21 Marzo


Questo giorno mi piace moltissimo perché é la
Giornata mondiale della poesia
Sottovalutata, snobbata, poco capita e soprattutto poco pubblicata e poco considerata dal mondo editoriale,  la poesia é la figlia meno  amata della letteratura.
Forse é troppo personale per permettere al lettore di immedesimarvisi, forse i sentimenti profondi non sono piu' di moda o, molto piu' prosaicamente la poesia non "tira", cioè non vende o vende pochissimo e gli editori, o almeno la maggior parte di essi, per rimanere a galla devono tenere sempre non uno ma quattro occhi puntati sui conti e non sui versi.
Ma a mio parere la poesia, qualunque poesia, é un romanzo brevissimo ed intenso, un concentrato di passioni che si dipanano in pochissime righe. Basta sedersi, creare il silenzio intorno a sé ed aprire il cuore: la poesia é pronta ad entrare con leggerezza in ognuno di noi e a regalarci momenti di pura emozione.





Pablo Neruda
Posso scrivere i versi piu' tristi


Marisa Cappelletti



lunedì 20 marzo 2017

20 Marzo

Oggi é il primo giorno di primavera.


E' in anticipo di un giorno, ma pare che ultimamente si facciano calcoli piu' accurati e gli equinozi ma anche i solstizi scivolino avanti ed in dietro , dipende dai giorni dalle ore dai minuti e dai secondi.
Ma in fondo va bene cosi'. L'importante é che sia primavera!


Oggi é la giornata mondiale della felicià.


E qui le cose si complicano. 
In primo luogo ci vorrebbe una lunga dissertazione sul concetto di felicità: che cos'é la felicità? Cosa si intende veramente per felicità? E poi quando e come si puo dire di essere felici? La felicità é soggettiva? Oggettivamente, esiste davvero l'umana felicità? Puo' essere la felicità un lungo momento oppure é solamente un attimo che arriva, fugge e non tornerà?



(Questa canzone é d'obbligo, anche se tutti poi sappiamo com`é andata a finire!)

Felice primavera a tutti!


Marisa Cappelletti

sabato 18 marzo 2017

Il mio viaggio



Il profumo della vita

Il gelsomino si arrampicava, veloce come i miei primi anni, spandendo il suo profumo nelle notti chiare, riempite da sogni infantili e da carezze materne. Io respiravo felice ignara del futuro, aspettavo soltanto il latte caldo ed i biscotti della mattina che sarebbe arrivata con la nonna, le sue storie infinite, gli abbracci e la cura meticolosa per i fiori del nostro giardino.
Le ginestre riflettevano il sole dell'isola, riempiendola di quell'inebriante profumo che mi toccava l'anima. Correvo con lui su per le colline e giu' fino al mare. Ci buttavamo stanchi sulla sabbia appena tiepida e mi guardava con occhi seri, che avevano dentro tutta l'adolescenza che stava arrivando e lo turbava. Mi prendeva la mano ed io che non capivo, ridevo di lui e della sua improvvisa serietà.
La camomilla con il suo profumo tranquillo si mischiava ai papaveri, la terra odorava d'estate ed i tuoi occhi erano dello stesso colore dei fiordalisi, i miei dell'erba che cresceva intorno. Quelle stagioni sono chiuse nel cuore, cosi' come nel cuore resta imprigionato per sempre il tuo sorriso. Eri il mio primo amore violento come i colori dell'estate, arrabbiato come a volte é il mare, perduto come si perde una cosa preziosa che non ritroveremo mai piu'.
I fiori d'arancio tra le mani, le lacrime agli occhi, un abito lungo e bianco, la chiesa profumata di gigli e tuberose, l'organo che suonava l'Ave Maria ed io che tra fiori e musica felicemente davo un addio definitivo alla spensieratezza per entrare nella consapevole giovinezza di moglie di un uomo che pensavo essere il mio. Ma i fiori appassiscono, il profumo svanisce lasciando il posto allo sgradevole odore della fine. Cosi' le illusioni passano lasciando il posto all'infelicità.
I grandi mazzi colorati composti da tanti fiori sontuosi nella loro eleganza ed i profumi mischiati e stordenti che ogni mese di luglio ti mettevo e ti metto tra le giovani braccia , scandiscono i tuoi compleanni e la mia gioia di esserti madre. Ti ho amata senza riserve appena ti ho vista cosi' piccola, rosea e con il nasino schiacciato. Abbiamo ricevuto, io e te, tantissimi fiori per festeggiarci, per dimostrarci amore, affetto, amicizia. C'è sempre un girasole per te. Ogni anno, per ricordarti che sei nata in un giorno caldo di sole, per augurarti tanti giorni felici.
​Le rose erano tutte intorno a te. Le avevo volute io, cosi' come avevamo voluto insieme i garofani rossi per papa'. Il loro profumo mi stordiva, il dolore mi distruggeva dentro, le lacrime non scendevano piu'. La vita é la vita, certo, e gli uomini sono mortali, ma tu mamma, tu non dovevi andartene. Avro' sempre bisogno di te, sentiro' per sempre il tuo profumo dolce di mughetto intorno, sarà come averti ancora qui.

Oggi siedo qui sul mio terrazzo fiorito, nel tramonto mio e del giorno, circondata dai gelsomini della mia innocenza, dai limoni e dall'arancio che con il loro profumo intenso mi portano la' dove tutto è iniziato e finito, dalle rose del mio dolore, dalle due piante di fiordaliso che anche se non sono ancora fiorite mi ricordano chi non scordero' mai, da tutti i fiori che amo, dalle gioie e dai rimpianti, dagli anni vissuti, a respirare l'aprile, in compagnia della mia vita.



Marisa Cappelletti

venerdì 17 marzo 2017

Al sole di una incombente primavera

Come si puo' evincere dai versi sotto riportati, sono stati giorni pesanti per me.
Ma poi tutto passa, la tristezza si nasconde dietro nuovi sorrisi, le ore passano, il sole fa le prove di una nuova stagione in un cielo sereno. 
E tutto scorre.




  
Tutto scorre

Voglio sedermi al sole e non alzarmi piu’
Lasciare agli altri l’incombenza della vita
La caduta senza fine da vette mai raggiunte
La ricerca disperata di ogni umana utopia.

Voglio scaldare la mia rassegnazione ai raggi
Di un’ illusoria primavera che non nascerà
Chiudere gli occhi per  non vedere  l’avanzare
cieco  di un domani senza  futuro alcuno.

Voglio lasciar scorrere le lacrime serene
Della  consapevolezza  di aver vissuto
Di ricordi e nostalgia di chi non ritornerà
Per cio’ che non è stato e brucia ancora in me.

Voglio sentire il  sole con la mia solitudine
E sorriderle abbracciata alla malinconia
Che dolce ci accompagna  lungo il viale alberato
da anni spogliati dei  fiori di una rimpiata gioventu’.

Voglio sedermi al sole   e non alzarmi piu’.  


Marisa Cappelletti




giovedì 9 marzo 2017

Scrivo


Mi é sempre piaciuto scrivere, fin da alunna delle elementari, cioé quando ho imparato letteralmente a scrivere. 
A volte mi sono fermata, anche per anni, perché la vita scorreva troppo veloce crudele ed impegnativa per permettermi di sedermi davanti a dei fogli che mi sarebbe piaciuto riempire, ma non ho mai cambiato idea, mai pensato nemmeno per un attimo che non avrei scritto piu' nulla.

Scrivere


Scrivo e voglio scrivere per allegria, per tristezza, per nostalgia.
perché i ricordi tracimano e gli anni avanzano, per fermare i pensieri
che scappano e le storie che si accavallano e si confondono.
Scrivo perché mi piace far trapelare un po' di me tra le righe
e condividere cosi' le tante emozioni che mi trascinano
in un vissuto mai cosi' chiaro e traboccante di sogni giovani.
Scrivo perché devo, perche voglio perché é un vizio assurdo,
per raccontare a chi mi ama favole sciocche o tristi verità,
per raccontarmi storie impossibili e speranze irraggiungibili.
Scrivo perché é primavera e le anatre là fuori starnazzano
per amore, perché il mio cane russa in tutta la sua vecchiaia
finalmente serena accanto a me, perché sono felice di essere
come sono: forse poetessa e forse scrittrice, ma certamente
scrivo perché vivo e questo mi riempie di gratitudine.


Marisa Cappelletti



domenica 5 marzo 2017

Una storia qualunque

                       
                               

                                    Sei minuti all'alba

    Giuseppe era nato a Milano e li’ viveva dalle parti di Viale Monza, in una vecchia casa vicino alla Ca’ de Sass.
 La madre era la classica casalinga milanese: spiccia, volitiva e giusta compagna per un uomo con degli ideali. Il padre, socialista vero e puro,  tutte le mattine prendeva il tram per andare  a lavorare come operaio specializzato alla Breda di Sesto.

    Milano, la sua Milano,  era diventata irriconoscibile, cattiva:  le strade erano  deserte, la gente si guardava con sospetto, la nebbia nascondeva neri  figuri che si aggiravano in squadracce con la speranza di trovare qualche poveretto da riempire di botte e  olio di ricino.

Il padre ne aveva , purtroppo,  già avuto la sua bella dose  perché durante il corteo per il funerale di un gerarca , in Corso Vittorio Emanuele,  non si era tolto il cappello né aveva fatto il saluto fascista. La madre a casa lo aveva curato brontolando:  –Varda che roba! L’è semper insci’:  lu el gà de fa l’eroe e po… eccola!- (Guarda che cose! E’ sempre cosi’: lui deve fare l’eroe e poi…ecco qua!)

    Intanto Giuseppe, seduto immobile vicino alla radio, ascoltava  l’annuncio  dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania.
Giuseppe aveva vent’anni e non capiva bene  perché mai si dovesse andare in guerra ad ammazzare altri giovani che come lui volevano vivere.  La sera, dopo il lavoro, (era apprendista meccanico dal Mario, in  via D’Apulia) ne aveva parlato con la sua fidanzata Rosetta che  faceva la piscinina (letteralmente piccolina intesa come apprendista giovane)  nella sartoria della Biki, roba di lusso, per le sciure (signore) del centro. -Speremm che te manden minga anca ti a fa la guerra-  (Speriamo che non mandino anche te in guerra) aveva balbettato piangendo la ragazza.

    Giuseppe  era andato in guerra.
Fante al servizio della Patria. Fam fum e frecc (fame fumo e freddo)  ecco tutto quello che aveva trovato.
Piu’ la paura e la morte, tanta morte.

    Poi era arrivato l’8 settembre: -Tutti a casa, la guerra è finita, tutti a casa!- Ed allora via  attraverso i campi, i paesi, le città. Via verso el  so Milan (la sua Milano). Non ci era mai arrivato perché non era vero, non era ancora finita e lui era divenuto a sua insaputa un disertore. 
Nemmeno sapeva bene il significato di quella parola li’, ma aveva capito che l’avrebbero messo in galera e condannato magari a morte, come gli avevano spiegato i tre incontrati sui monti sopra Lecco.
    Si era, con tutta la sua disperazione e solitudine, unito a loro che l’avevano portato su, verso la Grigna. Bunker abbandonati  dai  “crucchi” come casa, quattro stracci, un materasso  abitato da una varietà infinita di insetti,  altri giovani magri e sporchi e fam fum e frecc  anche li’.

    Non era cambiato niente. Adesso poi  la sua confusione era totale: alleati contro alleati, soldati contro soldati, soldati contro civili e pover crist contra pover crist (poveracci contro poveracci), ma ormai aveva imparato ad adeguarsi, Giuseppe.
    Mitra a tracolla  calzettoni di lana e sciarpa contro un freddo che non mollava mai, pattugliava le montagne in cerca di  tedeschi e camicie nere. Fortunatamente per lui non aveva mai incontrato nessuno.

    Sfortunatamente  un giorno trovarono lui. Si erano svegliati alla luce delle pile puntate in faccia, presi a calci e pugni, trascinati su un camion scortato da altri tre e portati a Milano nella sede dell’OVRA in via Fiamma.
     Non era cosi’ che voleva tornare a Milano.

    Era un ragazzo, Giuseppe e voleva stare con i suoi genitori, ascoltare il papa’ che parlava di  lotte operaie, sentire la carezza della mamma sui capelli ispidi, il suo profumo di pane e sapone di Marsiglia, voleva ancora fare l’amore con  la sua  Rosetta, non capiva il perché di tutto quello  che gli stava capitando.

    Legato ad una sedia, lo avevano  insultato, picchiato e  seviziato fino a fargli perdere diverse volte i sensi. Ma lui non aveva niente da dire, da raccontare: lui non sapeva niente perché era l’ultima ruota di un ingranaggio sconosciuto e poi anche se el  saveva un quei coss lu a quei  li’ el g’avria di’ propri un bel nagott! (se avesse saputo qualche cosa lui a quelli li’ non avrebbe detto proprio un bel niente)

    Buttato sul pavimento freddo di una cella a San Vittore si era messo a piangere Giuseppe: lacrime  che tracciavano righe irregolari tra il sangue secco e si depositavano sui tagli aperti, lavandoli.
    Piangeva per il  dolore fisico, di disperazione, per rabbia e  per  paura. Dalle celle vicine arrivavano grida, imprecazioni, richiami ed anche qualche risata. Voci di uomini  e ragazzi, forse anche dei suoi compagni divenuti, come lui, soltanto carne da  macello.

    Dopo non sapeva piu’ quanto tempo, perché li’ il tempo si era fermato, l’avevano fatto alzare, spintonato per i corridoi ed il cortile e gettato su un mezzo militare  con altri  disgraziati.
Portato alla Sede della “Muti”  in via Rovello, dopo un processo sommario,  il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato  l’aveva  condannato a morte per appartenenza a bande armate.

    Aveva pianto, Giuseppe. Per paura, per rabbia, per solitudine, per la sua breve vita che stava per finire cosi’,  per i  genitori che non avrebbe piu’ rivisto e che neanche sapevano dove fosse, per la  Rosetta,  per i suoi occhi scuri, il seno morbido, il profumo di violetta e la sua dolcezza ruvida, per gli amici e anche per il Mario di Via d’Apulia.

     Aveva pregato, lui che non l’aveva mai fatto, con il cappellano che cercava di nascondere le lacrime e la pena per quelle anime innocenti, aveva pregato con gli altri ragazzi del corridoio che imprecavano tra un Pater noster  ed un’Ave Maria, aveva cercato una consolazione impossibile.

     Poi era arrivata improvvisa, l’alba. Un’alba  livida, ancora buia, tragica.
    L’avevano caricato con un’altra decina di disgraziati su un camion coperto e li avevano portati al Giuriati, il campo sportivo.
    Tutti in fila, gli occhi asciutti e la bocca chiusa, già morti dentro di paura, ma dritti fuori  in un ultimo moto di dignità ed orgoglio.
 
    La testa girava, il cervello rombava, il cuore scoppiava. Un ordine secco, una raffica di fucilate a violentare il silenzio.
      Era l’alba del 10 gennaio  1945, il cielo stava schiarendo ma Giuseppe, che aveva soltanto 22 anni, non lo avrebbe visto.
      Mai piu’. 
                                                                               
                                                                                     FINE 



Marisa Cappelletti



Omaggio a Enzo Jannacci


C'é stato un cantautore che, con Giorgio Gaber,  ha rappresentato piu' di ogni altro la Milano tragica e comica, popolare e generosa: Enzo Jannacci.
Lo vidi ed ascoltai per la prima volta piu' di cinquanta anni fa a Palazzo Litta, in compagnia di altri due splendidi personaggi del cabaret milanese e nazionale: Cochi e Renato.


Mi colpi' profondamente quel giovanotto vestito con abito e cravatta neri e camicia bianca. Con due enormi occhiali da vista dalla montatura nera piu' che un cantautore sembrava il classico travet sfortunato in balia di eventi a lui totalmente sconosciuti. Nervoso, scattante, una voce graffiante a volte persino sgradevole, quasi un burattino umano con la chitarra all'altezza del cuore, con il cuore nelle canzoni che cantava.
Avevo i suoi dischi, conoscevo e conosco tutte le sue canzoni. Ancora e sempre attuali.
Lo rividi l'ultima volta al Policlinico, uno dei grandi ospedali milanesi, nel reparto di otorino laringoiatria nel quale mio padre era ricoverato. Medico cardiologo, camminava velocissimo per i corridoi con il camice svolazzante, cercando di non apparire il cantante che tutti conoscevano e salutavano, ma l'ottimo professore che effettivamente era.

C'é una canzone, tra le tante bellissime che ha scritto, che ogni volta mi ricorda il nonno materno ed i suoi racconti di un'epoca orribile vissuta da tutta la mia famiglia: quella del fascismo prima, quando nonno Alessandro fu picchiato, perseguitato e condannato a morte dall'allora regime fascista (si salvo' grazie ad una soffiata amica) e della guerra poi. Mio padre in Grecia con l'Aeronautica Militare, mia madre a Milano salva per miracolo dopo essere rimasta  ore sepolta sotto un palazzo bombardato in Corso Buenos Aires, mio zio scappato l'8 settembre e nascosto in cantina dalla nonna che affronto' una brigata fascista che lo stava cercando.

Scritta da Enzo Jannacci e Dario Fo e poco conosciuta, mi ha ispirato tempo fa una triste storia milanese e vorrei considerarla un omaggio ad Enzo Jannacci:

Sei minuti all'alba.




Marisa Cappelletti



                                                      





giovedì 2 marzo 2017

Canzoni del cuore

Questa mattina una persona carissima ha intonato per me 3 vecchie canzoni di Gino Paoli facendo cosi', involontariamente, il riassunto dei grandi amori della mia vita.

La gatta
Canzone che cantavo sempre a mia figlia quando era piccola e dolce per rassicurarla, per stare in allegria durante lunghi viaggi in automobile per tenerla abbracciata stretta a me.

Sassi
Mia madre adorava Gino Paoli e tutte le sue canzoni, in modo particolare questa che a volte ascoltava per ore sul piatto del giradischi. Mio padre la guardava sorridendo e lei restituiva il sorriso con la bocca gli occhi ed il cuore.

Sapore di sale

Questa canzone é stata e continua ad essere la canzone della mia vita. Avevo 17 anni e per la prima volta mi batteva forte il cuore. Poi gli anni sono passati ma le parole e la musica mi sono rimaste dentro. Ed ora questi "sapore di sale e di mare" sono tornati prepotenti e straordinari a riempirmi i giorni.


Marisa Cappelletti



mercoledì 1 marzo 2017

Fragole per sempre


Pagina di diario con fragole (alla panna)

Strawberry Fields Forever

Eravamo alla fine degli anni '60, i Beatles cantavano "campi di fragole all'infinito" ed io avevo vent'anni ed una forte nostalgia come John Lennon ,autore della canzone, di quell'infanzia facile ed innocente che se ne era andata per sempre lasciandomi in balia della confusione esistenziale, sentimentale, affettiva e culturale, in preda a troppe idee che mi turbinavano in testa, ad aspirazioni impossibili, a progetti irrealizzabili a quei tempi, affascinata da idee femministe e rivoluzionarie, combattuta tra grandi amori che tali non erano e convinzioni filosofiche che filosofiche né tanto meno convinzioni lo erano mai state.

Campi di fragole all'infinito per tornare fanciulli inconsapevoli, per non combattere con mulini a vento e nemici invisibili, per non sporcarsi e per ritrovare la purezza e la gioia assoluta di una corsa nei prati sotto un sole benevolo.
" Niente é reale e niente per cui stare in attesa" cantavano i Fab Four per riportarmi indietro negli anni, ma la vita continuava imperterrita la sua avanzata verso altri lidi meno assolati e pieni d'insidie.

La Swinging  London continuava a cantare, i giovani come me si vestivano di fiori, colori e capelli lunghi senza distinzione di sesso, mio padre fu talmente sconcertato dalla mia prima minigonna che rimase senza parole, ma ne trovo' subito dopo tantissime per commentare i lividi che tentavo disperatamente di nascondere.
Lividi procurati dalle zuffe immense con le Forze dell'ordine durante le oceaniche manifestazioni con contorno di bandiere e slogan contro la guerra nel Vietnam.

"Strawberry  fields  forever" ripetevano George, Paul, Ringo e John celebrando l'addio all'infanzia ed il tuffo a testa in giu' nella giovinezza che era anche  mia e di un periodo storico caratterizzato da un grande cambiamento mondiale.
I Rolling Stones continuavano imperterriti a seguire la loro scia di sesso droga e rock'n roll, io tentavo invano di imparare a ballare, a leggere  Erasmo da Rotterdam, Immanuel Kant, Karl Marx ed altri scrittori semplici e digeribili come i già citati, ma soprattutto a capire i ragazzi che passavano nella mia breve vita piu' veloci di un acuto di Janis Joplin al piu' grande, fantastico e padre di tutti i concerti: Woodstock!


Si', lo ammetto: nonostante la giovinezza, l'inesperienza, la mancanza di logica e l'incapacità assoluta di tenermi stretto quel ragazzo che mi piaceva tanto, i Sixties sono stati i piu' belli, stimolanti, brevi ed indimenticabili Strawberry Fields Forever della mia lunga vita.




Marisa Cappelletti