Se volete, mettetevi comodi e preparatevi ad una storia inquietante che si svolge nella Milano di oggi.
E' un racconto pubblicato da Fabbri Editori nella collana Scrivere.
Le autrici sono Marisa Cappelletti cioé io e Paola Roela, valida e brava compagna di scrittura in questi ultimi anni su 20Lines, il piu' noto sito italiano per scrittori.
Novecento rosso sangue
Milano, ore 00.00
Antonio era soddisfatto del suo lavoro. Controllare la tante
sale del nuovo Museo del Novecento dopo la chiusura lo faceva sentire
importante, responsabile di tutto quel patrimonio artistico. Ormai si prendeva
la libertà di chiamare per nome i vari maestri che avevano lì esposte le loro
opere, li sentiva vicini, ci era entrato in confidenza.
Era arrivato al secondo piano nella Sala Fontana, la sua
preferita. La magnifica installazione luminosa faceva risaltare con discrezione
i quadri in penombra e le vetrate si aprivano su una Piazza Duomo quasi
deserta, resa magica dalla luce dei lampioni ottocenteschi e dalla leggera
bruma che stava avanzando.
All’improvviso, mentre osservava le guglie del Duomo alla
sua destra, la mente registrò in quella pace un’inquietudine palpabile e
crescente, un’oppressione non spiegabile e, senza una ragione apparente,
Antonio sentì tutto il sangue in circolo affluirgli al cervello, tingerlo di un
rosso bollente e scoppiare violento e denso in pensieri di morte.
Urlando si lanciò con una potenza sovrumana contro i vetri
blindati sfondandoli e precipitò sull’antico pavé della piazza tra
l’indifferenza della folla assente.
La forza ignota ed estranea al luogo, causa ed effetto del
furioso suicidio, andò a nascondersi quieta e per il momento appagata dietro
uno dei Concetti Spaziali di Fontana concedendo alla nebbia di prendere
possesso del luogo attraverso le vetrate infrante.
Anna era rimasta sconvolta dal suicidio di Antonio. Lo
incontrava la sera: lui arrivava, lei lasciava il suo posto alla reception. Era
sempre stato una persona allegra, educata, niente le avrebbe mai fatto supporre
che dietro le apparenze ci fosse qualche cosa di così tragico.
La mattina in cui il suo corpo fu rinvenuto sotto il Museo,
la Sala da cui si era lanciato, nonostante l'aria fredda fosse entrata per
tutta la notte, fu inspiegabilmente trovata caldissima, come se un fuoco fosse
arso lì per tutta la notte e nessuno seppe spiegare questa strana escursione
termica. Anna aveva portato, con la collega Giulia, dei fiori davanti ai vetri
infranti. Un ultimo gesto gentile per una brava persona. Ma si era sentita a
disagio lì, come se qualcuno la stesse osservando con occhio malefico. Se ne
era andata in fretta convinta di essere condizionata dalle circostanze.
Ora, nella sala monografica, stava passando davanti alla
scultura di Martini. La inquietava sempre un po' quell'uomo che spingeva con
tutta la sua forza quella lastra di granito. Guidata da mani invisibili si
trovò davanti all'uomo di pietra ad osservare terrorizzata i suoi occhi rossi
che la fissavano attraendola. Da sotto Giulia la chiamava, ma lei era
completamente ipnotizzata da quello sguardo. Avanzò ed avanzò fino a quando con
uno scatto improvviso i piedi della statua spinsero la lastra contro di lei. E
la schiacciò al suolo come un vecchio giornale schiaccia una mosca molesta.
Quando Giulia raggiunse la sala Martini vide Anna a terra
scomposta, irriconoscibile, immersa nel sangue, ed iniziò ad urlare.
Il sangue scorreva dai muri fino a terra: una cascata
luccicante, un forte odore rugginoso, le statue si agitavano minacciose, un
vento caldissimo, soffocante ed invisibile fischiava tra le pareti.
Giulia era diventata lei stessa una statua. Il terrore le
paralizzava il corpo e la mente, la rendeva incapace di tutto!
Le statue si alzarono dai loro piedistalli e cominciarono ad
avanzare con tonfi cadenzati, calpestando quel che rimaneva del corpo di Anna,
verso la ragazza.
Le facce tutte uguali, stravolte da una espressione d'odio
puro.
La disperazione, unita all'istinto di sopravvivenza, si fece
strada nella mente della ragazza che iniziò ad indietreggiare verso le scale.
Quella sarabanda infernale non le lasciava un attimo di
tregua. Il cervello impazzito riusciva solo a realizzare che doveva scappare.
Si girò di scatto, il piede scivolò sul sangue che ormai
ricopriva tutta la stanza, i gradini parvero scomparire sotto di lei e Giulia
precipitò in quello che le era parso un pozzo nero.
Sbattè violentemente il capo su ognuno di quei gradini ed
alla fine rimase immobile ai piedi della scala.
Nella sala, ogni cosa al suo posto, tornò il silenzio.
Il giorno dopo, sul posto, giunse il Commissario Luigi
Saviani, con il suo vice, Matteo Guidi e un'altra donna che presentò alla
direttrice del Museo, Stefania Argenti, come una collaboratrice esterna delle
forze di polizia. Il Commissario, nell'osservare la scena, si rese conto che si
trattava di un'indagine complessa e che, suo malgrado, forse, la presenza della
loro aiutante misteriosa, sarebbe stata utile. La donna, infatti, era una
sensitiva, che, a volte, veniva utilizzata nei casi di sparizione ed effettivamente,
in più di un'occasione, le sue indicazioni si erano rivelate utili, se non
preziose. Quando era arrivata la chiamata per le due morti avvenute al Museo,
la donna, presente durante la conversazione telefonica, aveva insistito per
accompagnarli e alla fine, il Commissario aveva ceduto. Le aveva raccomandato,
però, di tenere nascosta la sua identità e di non parlare con nessuno. Lei
avrebbe solo dovuto cercare di capire cosa fosse successo quella notte e se vi
fossero, all'interno del Museo, fenomeni paranormali.
Mentre la signora
Stefania parlava animatamente con il Commissario, la sensitiva chiuse gli
occhi, concentrandosi e cercando di percepire qualcosa. Immediatamente, avvertì
una presenza malvagia. Inspirò a fondo, tentando di concentrarsi ulteriormente
per saperne di più. Sentiva che si trattava di un'anima trapassata, piena di
odio, di rancore, di invidia. Sì, soprattutto invidia era quella che avvertiva.
Il risentimento di un pittore poco noto, nei confronti di altri artisti più
famosi. Ed ora, quell'anima inquieta intendeva vendicarsi, non certo degli
artisti, ormai passati a miglior vita, come lui, ma di coloro che li avevano
preferiti a lui, anche nella cura e nella manutenzione delle loro opere. Come
gli attuali addetti al Museo. E la sua ira, si sarebbe rivolta anche verso chi
avrebbe osato ostacolarlo. "Siamo tutti in pericolo" disse la donna,
aprendo gli occhi.
Il Commissario la fulminò con lo sguardo, evidentemente
infastidito dal fatto che la sensitiva non avesse ubbidito alle sue direttive.
La direttrice del Museo guardò, perplessa la donna e le chiese "In
pericolo? Perchè? E come fa a saperlo?" poi rivolse il suo sguardo al
poliziotto, come a chiedere se ci si potesse fidare di lei. "La signora
non è autorizzata a parlare e non lo farà, non qui!" disse in tono
autoritario, tentando di mascherare la rabbia. La sensitiva abbassò la testa ma
sussurrò "Così lo sta aiutando" "Basta così!" intervenne il
vice commissario "Lei può andare. Ci rivedremo in centrale fra un paio
d'ore" "Se sarete ancora vivi" biascicò la donna tra i denti, e,
senza proferire altro, lasciò la sala.
Il Commissario lanciò un'occhiata di
apprezzamento al suo vice, ma la signora Stefania li incalzò "Forse c'è
qualcosa che dovrei sapere, non vi pare? Ci sono stati tre morti nel giro di
due giorni, qui dentro, e la vostra aiutante dice che potremmo morire
tutti!" disse, aumentando, senza rendersene conto, il tono della voce.
Improvvisamente si levò un vento fortissimo, caldissimo e soffocante, che,
senza che potessero resitere, li sospinse nella Sala Fontana. Qui
l'installazione luminosa sembrava impazzita, i raggi di luce si rincorrevano in
un vortice che appariva demoniaco. Il vento continuava a soffiare anche se,
ora, i tre non ne sentivano il sibilo, nè il calore, ipnotizzati, dinanzi a
quello spaventoso spettacolo di luce.
Di colpo, tutto si fermò. Il vento cessò e l'installazione
luminosa tornò allo stato originale.
Il Commissario e la direttrice si riscossero dalla trance
"Che diavolo è successo?" chiese, furioso, l'uomo, senza accorgersi
che Matteo, il suo vice, ancora ipnotizzato, si stava dirigendo verso
l'installazione luminosa. Prima che potesse fermarlo, Matteo raggiunse il
centro, e lì, i raggi di luce, senza che emettesse alcun suono, tagliarono il
suo corpo in quattro pezzi.
Saviani, pur abituato a fattacci e delitti, rimase immobile
ed una paura senza nome né confine si impadronì di lui mentre i quattro pezzi
del corpo del suo vice si agitavano ancora nel sangue.
L'Argenti impazzita di terrore gli si buttò addosso
invischiandolo in un abbraccio che il commissario neppure avvertì.
Il vento caldissimo riprese a soffiare furioso e la vetrata
panoramica, appena sostituita, scoppiò
lanciando milioni di frammenti di ogni dimensione nella sala
e nella piazza.
I due furono infilzati in ogni parte del corpo da pezzi di
vetro trasformati dall'esplosione in micidiali pugnali. Quattro lunghi
frammenti penetrarono con precisione negli occhi dei poveretti, facendone
scoppiare i bulbi. Le preziose tele presero a bruciare e, mentre il fuoco
avvolgeva tutto in un abbraccio infernale, un urlo agghiacciante coprì le
ultime grida delle vittime.
Le fiamme si propagarono per il museo, ruggendo corsero per
le sale distruggendo tutto: quadri, sculture, oggetti rari e preziosi. Da
Piazza del Duomo la polizia, i vigili del fuoco, resi impotenti dalla violenza
e dalle dimensioni dell'incendio ed una folla impaurita e muta assistettero
increduli all'infernale fine del Museo del Novecento.
Poco lontano, seduta su una panca della chiesa di
Sant'Alessandro, la sensitiva cercava di entrare in contatto con quello che in
quel momento era il Male: lo spirito devastato e devastante del pittore
sconosciuto. Improvvisamente l'organo iniziò a suonare e sulle sue canne,
diventate rosse come il sangue apparve una scritta nera e bruciante: ICH KOMME
WIEDER.
Non era ancora finita.
Fine
Marisa Cappelletti e Paola Roela
2013 Scrivere Fabbri Editori