Erano estati cosi' lontane che fatico a ricordare ma, quando il cassetto dei ricordi si apre e le pagine del mio libro personale iniziano a sfogliarsi da sole, allora le immagini si affollano nitide, la nostalgia ormai dolce riaffiora, il rimpianto per chi non è piu' fisicamente con me fa sempre tanto male e quella bambina quasi persa nel tempo mi sorride e mi prende per mano portandomi con sè là dove sono stata felice.
La famiglia Brambilla
-La famiglia Brambilla in vacanza
Sulla vecchia balilla s’avanza…-
Cantavamo tutti e tre spensierati: la mamma, i capelli
biondi al vento, seduta davanti di sbieco sulla canna, languidamente appoggiata
a papà che , occhi verdi fissi sulla
strada e corpo atletico, pedalava senza sforzo e con estrema attenzione ed infine io, piccola donnina dai capelli ricci, scura da sembrare di un altro
Paese , che ridevo e cantavo felice di stare stretta al mio bel babbo, seduta
sul cuscinetto appoggiato al portapacchi
fissato dietro il sellino della bici.
Quella era la nostra Balilla.
Troppo poveri , come la maggioranza degli italiani negli
anni ’50, per avere un’automobile, quando si
andava in vacanza (quindici
giorni a Chiavari), la bicicletta nera, tirata a lucido, veniva spedita via
treno all’indirizzo della caserma dei Vigili del Fuoco, nella cui dependance
c’erano gli alloggi estivi per le famiglie dei pompieri.
Lo so, oggi puo’ sembrare assurda ed impensabile una tale
sistemazione, ma allora, credetemi, era
meravigliosa, almeno per me!
Si partiva la mattina presto dalla Centrale dove si arrivava
almeno un’ora prima, hai visto mai che il treno partisse in anticipo, per un viaggio che a me pareva lunghissimo ed
avventuroso con tutte quelle gallerie che portavano il buio improvviso ed il rumore assordante del treno sulle
rotaie, il vento caldo e l’odore acre di fumo e di catrame.
Mi batteva forte il cuore, chiudevo gli occhi e speravo
finisse presto.
Il chiaro in fondo al tunnel l’aria piena di sole e poi ancora
buio e avanti cosi’ fino alle prime stazioni di mare: Recco, Camogli e via una
dopo l’altra le stazioncine con le palme, gli oleandri, gli scorci di mare tra
una casa rosa ed una verdina, che mi
facevano battere le mani dal finestrino abbassato, quel profumo pulito di sole,
mare, fiori e felicità.
Poi finalmente Chiavari!
La stazione era piccola ed invasa dalle erbacce, noi si
usciva e ci si riuniva davanti al cinema-teatro di Piazza Garibaldi dove i
Vigili del Fuoco ci aspettavano con il
loro camion rosso brillante e ci portavano alla Caserma, alla periferia del
paese.
Era una antica
villa, nella campagna assolata vicino al
fiume Entella. C’erano uno splendido giardino, il gioco delle bocce, la rimessa
dell’autopompa, una costruzione relativamente nuova per il dormitorio dei Vigili del Fuoco e quella
seconda villa con le nostre camere.
Come nelle Colonie estive per bambini, si veniva divisi: le
femmine con le femmine ed i maschi con i maschi, eccezion fatta naturalmente
per i piu’ piccoli.
Penso che i miei genitori soffrissero molto questa separazione
forzata, ma questo lo capii molti anni piu’ tardi.
I pasti venivano serviti nel refettorio comune ed ogni
giorno, dalla colazione alla cena, si era tutti insieme, credo una trentina
circa di persone, a mangiare, chiacchierare, ridere e scherzare, come in un
banchetto di nozze che si andava
ripetendo per 15 giorni.
La spiaggia distava
penso due chilometri e la nostra “Balilla” era indispensabile.
Prima di partire alla volta del Lido di Chiavari, che a me
pareva una cosa lussuosissima con le sue
cabine private in cemento su due piani, il solarium, il bar ed il ping pong da
tavolo, raccoglievo in una parte del giardino adibita ad orto delle carotine
piccole e tenere ed a metà strada ci fermavamo, caldo soffocante e frinire di
cento cicale a tenerci compagnia, davanti ad una gabbia dove i conigli mi
aspettavano ammassati contro la rete che li imprigionava.
Oggi mi sarei già rivolta da tempo alla LAV per liberarli!
Alla spiaggia, composta da sassi grandi o piccoli, ma sempre
scomodissimi sassi, si stendevano gli asciugamani, si sistemavano la borsa ed i
vestiti, la mamma mi abbassava il davanti del costumino di lana per farmi
prendere il sole ed io inauguravo cosi’ il primo topless di tutti i tempi.
Poi papà mi faceva fare il bagno: avevo un salvagente verde
ingombrante a forma di pesce, forse uno squalo, e quando il babbo mi porto’ per la prima
volta al largo (per me dove non toccavo era il largo), e tolse il tappino che
teneva gonfio il pesce lasciandomi nella situazione di naufraga senza salvifici
scogli, capii il significato del ghigno cattivo del malefico pesce.
Pero’ imparai a
nuotare. Allora funzionava cosi’.
La sera, come ora si va al Pacha ad Ibiza, allora si andava
da Giovannino, sotto i portici vecchi, dove si mangiavano farinata e castagnaccio, si beveva vino
bianco delle Cinque Terre e Ugo, grande amico di papà, suonava la chitarra e
tutti cantavano fin oltre mezzanotte.
Oppure dal Sciur Pepin (alla milanese), osteria sgangherata
sulla riva del fiume ed anche li’ giu’ vino in bicchieri di vetro spesso che
ricordo ancora, come ricordo il gestore, il Pepin appunto, che con voce
tenorile cantava La Spagnola tra i fischi e gli applausi della compagnia
decisamente brilla.
No, io no.
Io, tra una scarica di immaginate voi che cosa e l’altra (si’ perché a me il mare
faceva quell’effetto dal giorno dell’arrivo alla mattina della partenza, ma ai
miei pare non importasse piu’ di tanto, non mi si chieda come mai), dormivo.
Non esistevano baby sitter ai tempi e credo che quegli omoni
di pompieri non fossero disposti a farne le veci, cosi’ la sera dormivo in
braccio a mamma e tornavo sulle spalle di papà.
Andarono avanti cosi’
le mie vacanze, con intermezzi tragi-comici: io che rischiai di affogare
in mezzo metro d’acqua, salvata da uno
sconosciuto che mi tiro’ fuori dall’onda
sollevandomi per le bretelle del costume . La mamma era occupata a far
la sirenetta e non se n’era accorta.
L’onda anomala che arrivo’ all’improvviso coprendo tutta la
spiaggia fino alla massicciata del treno e ci porto’ via ogni cosa
costringendoci a tornare a casa in costume da bagno fradicio ed a piedi nudi.
Il nonno, sordo, allegro e
gran macho degli anni cinquanta,
superato non si sa per quale ragione il passaggio a livello abbassato,
non senti’ il fischio del treno né le grida di mamma e delle altre signore che
lo stavano ammirando e per un soffio non
ne venne investito.
Insomma le solite cose,
che mi permisero di arrivare ai
quattordici anni.
Che non assomigliavano nemmeno lontanamente a quelli delle
adolescenti di adesso: ero ancora una bambina coi capelli ricci, anche se ormai
il costume non lo abbassavo piu’, non uscivo la sera e giocavo a palla e
raccoglievo con papà pezzi di vetro
levigati dal mare sulla riva.
Ma, e qui il ma è
d’obbligo, un bel giorno capito’.
Eh si’ ci cascai anche io, io cosi’ bambina: mi innamorai
perdutamente di Piero Pieri, bel pompiere toscano di stanza a Chiavari!
Il primo a capirlo fu lui.
No, la mamma no, lei era troppo presa dal SUO pompiere.
Ma Piero, che doveva essere giovanissimo ed a me pareva un
uomo, fu gentile, mi tratto’ come la sorellina minore, cerco’ in tutti i modi
di non ferire i miei neonati sentimenti. Anche papà se ne accorse, non disse niente e
mi lascio’ vivere in tormento ed estasi la mia prima cotta.
Ma ormai la frittata era fatta: non potevo piu’ vivere quel
tipo di vacanza per genitori e bambini soltanto, ero diventata grande.
La Balilla tornata per l’ultima volta dal mare, fini’ in
cantina, si riempi’ della polvere degli anni e dei ricordi, sostituita da una fiammante Vespa verde oliva su cui il babbo sfrecciava spericolatamente a 40
chilometri all’ora ed anche meno, per le vie di Milano non ancora intasate dal
traffico e dai sensi unici e sul Passo
del Turchino per gioia sua e preoccupazione di mamma.
Io andai verso altre vacanze, altri mari, altri costumi da
bagno, altri innamoramenti estivi, anche se papà rimase sempre, finché visse,
il mio eroe.
Mia madre, sempre bella e bionda ed anche leggermente,
simpaticamente svanita, continuo’ ad
occuparsi a tempo pieno del SUO pompiere.
Il tempo poi fece tutto il resto.
Marisa Cappelletti