Vorrei scrivere una storia e queste sono le prime righe.
Non sono mai completamente di fantasia i miei personaggi, infatti Paola ed Alessandro erano i miei nonni e di conseguenza Elettra la bisnonna che ho avuto la fortuna di conoscere da bambina.
Nonna Paola
La Casa
Paola ed
Alessandro la videro per la prima volta nel 1916, quando lui torno’ per una
licenza di tre giorni dal fronte, ma lei
esisteva già da tempo: dipinta di bordeaux ed ocra, 2 piani che si affacciavano su una piccola
piazza e 3 su due vie laterali che portavano ai magazzini della Stazione
Centrale.
L’appartamento
da affittare era al secondo piano. Due
stanze enormi, una dentro
l’altra, un lavandino in pietra, il grande camino ed il wc in comune con gli altri appartamenti
del piano. Che allora era davvero un lusso! Due piccoli balconcini con
parapetti lavorati a fiori che si affacciavano sulla via piu’ trafficata : il
tram passava direttamente li’ sotto e lo sferragliare delle ruote di ferro
infastidiva non poco.
Le scale
erano bellissime: salivano in semicerchi formati da gradini in marmo grigio
fino al terzo ed ultimo piano, ci si poteva appoggiare a corrimani in legno
lucido e guardare su o giu’ attraverso
ringhiere formate da volute di foglie e fiori in ferro battuto. Il soffitto dell’ultimo piano dominava la
casa tutta con un affresco a colori
tenui e delicati raffigurante cherubini paffuti e rosei con piccole ali di
piume, corolle di rose tutt’attorno e soffici nuvole bianche sullo sfondo di un
cielo turchino.
Paola rimase
incantata ed intimidita dalla casa:
troppo elegante, silenziosa. Ed anche il piccolo giardino con due imponenti
magnolie e piante di rose ovunque, una panchina per sedersi a leggere, un lavandino in pietra, tutto l’aveva
lasciata senza fiato.
Lei veniva
da Gorla, un quartiere popolare li’
vicino, dove tutti si conoscevano, entravano ed uscivano in continuazione da
porte sulla strada lasciate sempre aperte, i bambini correvano ovunque
schiamazzando, la nonna, la mamma e le zie andavano insieme alle altre donne a
lavare i panni nella Martesana, gli
uomini, primo fra tutti zio Angelo, il gagà, quando il lavoro in fabbrica era
finito, si trovavano all’Osteria del Binari per un bicchiere di rosso
in compagnia, mentre papà Alfredo tornava a casa, sedeva al tavolo di
cucina silenzioso e timidissimo, la testa tra le mani e se ne stava li’ fino
all’ora di cena.
Era il suo modo di riposare.
Parlava
pochissimo
: era un uomo gentile, i figli sapevano che voleva loro molto
bene, ma che era incapace di dirlo né di
dimostrarlo con qualche affettuosità, era troppo timido.
Mamma Rosa
invece era la classica massaia milanese: sempre in movimento, sempre a sgridare
qualcuno, figli o nipoti o vicini che fossero, lei gestiva la casa, il marito. la
famiglia ed anche il vicinato: la crocchia di capelli biondi stretta sulla
nuca, il grembiule teso sul seno florido, gli occhi penetranti sempre all’erta.
Era lei il capo!
Alessandro
era invece orgogliosissimo di essere riuscito a trovare quella casa. Lui era
nato a Firenze da una famiglia importante che, poco dopo la sua nascita era
caduta in disgrazia, come si diceva, aveva perso le proprietà in campagna ed
anche il bel palazzo vicino a Ponte Vecchio, come se non bastasse il padre
s’era ammalato ed era morto a soli quarant’anni. Mamma Elettra aveva fatto le
valigie, preso i due figli e si era trasferita a Milano, da una prozia che le
aveva ceduto un bell’appartamento in Via Padova.
Prima o poi continuero'...
Marisa Cappelletti