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Giulia
Nata di marzo - prima parte -
In una fredda mattina di febbraio dei primi anni di questo
nuovo secolo, mi fermai davanti al cancello del vecchio Canile di Milano. Era
una grande struttura bisognosa di ristrutturazione, ai margini della periferia
nord.
Ero emozionata: non ero mai stata in un canile, non avevo
mai scelto un cane perché i due precedenti mi erano stati regalati e l’idea di
preferire un essere bisognoso di affetto ad un altro mi inquietava.
Passai davanti a gabbie che ospitavano vecchi cani
impauriti, altri decisamente arrabbiati, poi mi fermai davanti ad un enorme
naso umido e due occhi dorati che mi dicevano: "Guardami, dietro questa
massa enorme c’è una creatura che ti potrebbe amare".
Era davvero mastodontico: un alano molto cresciuto e
leggermente mischiato con chissà chi. Allungai la mano tra le sbarre, senza dar
retta ad un incaricato del canile che mi invitava a non farlo, ed il gigante
poso’ il muso sul mio palmo. Ma realizzai che non potevo portarmi a casa un
cavallo, avrei avuto bisogno non di un appartamento ma di una fattoria. Non che
mi sarebbe dispiaciuto, ma no, non potevo.
Lascia li’ il cuore ed ancora oggi, dopo quasi 20 anni
rivedo quegli occhi e mi sento in colpa.
Incontrai una pittbull sospettosa ed incinta che veniva da
una brutta storia di combattimenti ed una rottweiller spaesata perché appena
trovata vagante sulla circonvallazione.
Poi il mio sguardo si poso’ su un boxer tutto nero con
grandi occhi altrettanto neri e per niente rassicuranti. Se ne stava in disparte,
in un angolo, seduto dritto a sfidarmi.
Si’ la mia prima impressione fu di sfida.
Arrivo’ un ragazzo, apri’ la gabbia, gli mise collare e
guinzaglio e se lo porto’ via. Proseguii nel mio giro e devo confessare che me
li sarei portati tutti a casa: grandi e piccoli, mansueti ed aggressivi. Tutti.
Poi il boxer nero torno’. Il ragazzo mi sorrise e racconto’
la sua storia. Del cane, intendo.
Lei, era una femmina, era stata trovata qualche mese prima
sui Navigli. Viveva li’, in un angolo riparato dal traffico e dagli sguardi
degli uomini. Pareva aggressiva ma, se la si conosceva solo per un momento, era
la boxer piu’ dolce di questo mondo. L’aveva chiamata Giulia, come la sua
ragazza che viveva lontana, in un posto di mare. Lui era un obiettore di
coscienza che faceva il servizio civile li’ nel vecchio canile.
Intanto Giulia mi si era appoggiata contro e mi annusava
come fossi stata un succulento pezzo di manzo. Non ero convinta. Il ragazzo
praticamente me la stava raccomandando, ma io tentennavo. Risolse la situazione
mia figlia che mi impose: o lei o nessuna. Va bene, scegliemmo lei!
Il ragazzo ci accompagno’ agli uffici per le pratiche necessarie
e poi all’auto, abbraccio’ Giulia e comincio’ a piangere silenziosamente.
Anche quello era amore: separarsi da una creatura a cui era
molto affezionato per garantirle un futuro che sperava migliore mi parve un
bellissimo gesto. Mi commosse.
Lei, nera ed inquietante, per quindici giorni mangio’ e
dormi’ e se ne stette buona senza guardare nessuno, indifferente alle lusinghe
della famiglia.
Poi in un giorno di sole in cui me ne stavo seduta sulla
panca del terrazzo a leggere, si avvicino’, agilissima salto’ su vicino a me,
si sdraio’ ed appoggio’ la bella testa sulle mie gambe. La accarezzai e lei li’
inizio’ molto rumorosamente a fare le fusa. Ed a sorridere.
La nostra lunga storia d’amore comincio’ proprio in quel
momento, sotto il sole di marzo.