martedì 29 marzo 2016

Racconto di primavera

                                            Gli Angeli della Città



Quando la città si quieta ed il buio inizia il suo lavoro su strade, giardini e persone, quando i lampioni si accendono ed i fantasmi escono dagli angoli nascosti dove sono rimasti per tutta la caotica giornata, allora e solo allora inizia la vita degli angeli metropolitani.
Non sono angeli qualsiasi, sono quelli esperti, quelli che sanno cosa significa​ essere disperati, non avere piu' nulla se non un cartone come tetto e come letto, quelli che, in quanto angeli, si sacrificano per gli altri.
Gregorio era uno di quelli. Ogni notte lasciava a casa la sua vita ed usciva in cerca delle altre, quelle buttate via.
Angela (a volte le coincidenze...) era un fantasma. Il fantasma di sé stessa, il fantasma della donna che era stata un tempo. Un guscio rotto e vuoto che si aggirava nei pressi della Stazione Centrale cercando di passare inosservata a chi arrivava e partiva, ai gruppi di delinquenti che li' stazionavano in attesa delle loro vittime, ai piccoli spacciatori, forse piu' disperati di lei.
Un barbone vecchio e puzzolente la afferro' da dietro e con violenza cerco' di strapparle il cappotto enorme e liso che la infagottava. Tento' una debole difesa, ma l'uomo le sferro' un pugno sulla testa facendola stramazzare al suolo svenuta.
Si riprese poco dopo, tremando dal freddo ed incontrando sopra di lei due occhi straordinariamente azzurri che la stavano scrutando con preoccupazione. Penso' di essere finalmente morta e filata dritta in Paradiso. Nessuno, da decenni, l'aveva piu' guardata interessandosi a lei, quello doveva essere un angelo. 
In fondo aveva ragione.

-Coraggio- disse l'angelo - ora chiamo un'ambulanza cosi' passerai almeno una notte al coperto, ora bevi questo caffé caldo, ti farà bene- Lei cerco' di metterlo a fuoco, ma il colpo in testa e le diottrie mancanti le impedivano di vedere quel ragazzo che le parlava come se lei fosse ancora una persona. Gregorio stava tentando di ignorare il cattivo odore che la donna emanava e la crosta di sudiciume che le nascondeva il viso e le mani. Cercava di rimandare giu' la pietà per quel povero essere umano abbandonato a sé stesso, la rabbia e la nausea verso quel prossimo che voltava sempre la testa dall'altra parte. Chiese al suo compagno di chiamare l'ambulanza ed avvolse con tenerezza Angela in una coperta, circondandole per un momento le spalle ossute. Lo sguardo di lei lo ripago' dell'amarezza che gli stringeva il cuore. La donna provo' per un attimo una punta di un sentimento sconosciuto che forse si poteva chiamare felicità. Poi due volontari la aiutarono a stendersi sulla barella e lei se ne ando' riconoscente verso un letto pulito, un bagno e forse una nuova sistemazione.
Gregorio la saluto' come si saluta un'amica e riprese la sua ronda da angelo della notte.

Mariami un tempo, quando era bambina, viveva in un villaggio del Kenya, in una casa fatta di paglia e lamiera che si surriscaldava al sole ed aiutava la madre e le sorelle a coltivare una terra povera e severa. Un giorno, aveva 14 anni ed ormai era una donna, parti' sola e spaventata, con una signora che non conosceva, per l'Eldorado. Cioè l'Italia. Avrebbe avuto un lavoro dignitoso, guadagnato una montagna di soldi, mangiato due o forse anche tre volte al giorno. Sei fortunata, le aveva detto la madre.
Le aveva creduto ed era partita con quella donna.
La sua fortuna fu quella di arrivare in un Paese sconosciuto, non capire una parola, venire caricata con altre due ragazze su una vecchia auto da due uomini che puzzavano di vino ed aglio ed essere rinchiusa tra quattro mura. Tre brande, una finestrella in alto ed una porta sempre sbarrata. Fu cosi' che Mariami conobbe la bestialità degli uomini, le botte, rincontro' la fame e capi' cosa significasse essere quello che i suoi avi furono: una schiava.
Ogni sera alle 22 precise veniva scaricata con le altre due vittime nei pressi del Cimitero Monumentale, famigerato e molto frequentato luogo di domanda ed offerta incessanti e lei, notte dopo notte, offriva il suo corpo e la sua anima in cambio di sudicio denaro che le veniva prontamente sequestrato dai suoi aguzzini. Aveva imparato quel poco di italiano che bastava per condurre le necessarie trattative, per il resto dell'esistenza, se cosi' la si poteva chiamare, non parlava perchè ormai non aveva piu' nulla da dire, nemmeno a sé stessa.

Un'auto anonima, come anonime erano tutte le altre, si fermo' vicino a lei ed una voce maschile la chiamo'. Una voce che non la insultava, gentile, che lasciava trasparire comprensione e pietà.
Ma lei ormai non si lasciava piu' ingannare dalle voci e dagli uomini, percio' si avvicino' guardinga e sciorino' il suo menu'.
-Non mi interessa- disse la voce -ma se vuoi salire io ti paghero' solo per parlare con me-
Mariami si giro' verso l'angolo in cui, al buio, stava la loro, di loro tre, "guardia del corpo". Lui le fece cenno di salire in fretta. Lei ubbidi'. L'uomo parti' con calma e si fermo' non lontano dal viale, in una bella via con tante case di gente normalmente felice. Lei , come d'abitudine, allungo' le mani, lui la fermo' dicendo -No, non mi devi nulla, sono io che devo a te. Ti devo un'altra vita, la tranquillità, quella fiducia che hai disimparato ad avere, la tua adolescenza rubata. Mi chiamo Paolo, ma per tutti sono Don Paolo e sono un prete. Rappresento quel padre che hai perduto o che forse non hai mai avuto, posso essere la tua salvezza, lo strumento che ti porterà via da questa strada per insegnarti un'altra volta a vivere.
La ragazza lo guardo' stranita, faticava a capire. Poi abbasso' la testa, gli occhi pieni di lacrime e mormoro' -Si' padre, portami via-.
Non sarebbe stato semplice, non lo é mai, ma quello era il suo lavoro ed anche la sua missione.
Un prete di strada, uno dei tanti anonimi angeli.

Alice era una ragazza qualsiasi. Non ordinaria no, anzi quasi bella. Di quella bellezza sottile e discreta che oggi giorno passa inosservata. Piuttosto intelligente, sfortunata in amore e con un lavoro precario. Una ragazza come tante. Viveva sola in una piccola casa in affitto, una casa che amava, con un terrazzino riempito di verde e di fiori. A tenerle compagnia due gatte tanto affettuose quanto dispettose. Ma lei le amava per quel che erano: la sua compagnia migliore.
Il suo cuore era momentaneamente libero e tutto sommato andava bene cosi'. Usciva con gli amici, non aveva orari da rispettare né fidanzati da accontentare e sopportare.
Quella sera era uscita : la cena con le amiche di sempre, il locale alla moda. Si erano divertite, avevano riso, parlato, bevuto. Poi, mentre si stava dirigendo al parcheggio in sosta vietata come spesso succedeva, era successo. A lei che non se l'aspettava, a lei che tra le tante era la meno appariscente. Le era arrivato alle spalle silenzioso e silenziosamente l'aveva stretta in un abbraccio che l'aveva paralizzata. La mano sulla bocca per impedirle di gridare. Non lo avrebbe fatto perché la paura cieca le aveva tolto la parola e la facoltà di pensare razionalmente. L'aveva buttata sul selciato sporco e se l'era sentito addosso: una mano sempre sulla bocca l'altra che frugava e strappava, il respiro pesante, l'odore sgradevole. Aveva chiuso gli occhi, animale in trappola reso inerme dal terrore. Aveva pensato, chissà perché, alla nonna che le aveva fatto da seconda madre o, piu' precisamente, da padre. Cosi' simile a lei, cosi' rimpianta, piccola donna forte e sicura, appoggio insostituibile. Aveva invocato la nonna, chissà perché, aveva sentito la sua presenza, chissà come.  

Non voleva sentire, non voleva pensare, un peso insopportabile addosso,la mente altrove, il cuore che batteva forte contro la gabbia toracica, come se volesse scappare anche lui. Poi, all'improvviso, si era sentita libera: piu' niente che la schiacciava a terra, l'aria divenuta respirabile, i rumori che piano piano tornavano . Non voleva aprire gli occhi, convinta fosse solo una reazione della mente, una difesa estrema del corpo prigioniero di una bestia predatrice. Una voce la stava chiamando: -E' finita, non aver paura, é finita! Avanti apri gli occhi, dimmi come stai, dammi la mano, non devi aver paura di me. Ecco guarda, vedi il tesserino? Sono un ragazzo ma anche un poliziotto, non ti farà piu' del male, non aver paura! - Alice apri' gli occhi pieni di lacrime e vide davanti a sé, accucciato vicino, un ragazzo che le porgeva la mano. La afferro' esitante e scoppio' in un pianto liberatorio. Lui, Nicola, la abbraccio' con circospezione e la tenne cosi' per un tempo che a lei parve interminabile. Intanto era arrivata una pattuglia della Polizia che aveva preso in consegna la bestia, strappatale di dosso ed atterrata quindi ammanettata da Nicola. Anche un'ambulanza stava arrivando per lei, per prestarle le cure del caso. Lui la aiuto' ad alzarsi e lei cerco' di rimettere insieme quel che restava dei suoi indumenti. Barcollo' lui la sorresse. Aveva bisogno di sentire la vicinanza di un essere umano, di una persona, del suo salvatore. Lui le passo' un braccio intorno alle spalle, lei senti' il suo calore e ne fu confortata. Cerco' di far uscire un sorriso dalle labbra sanguinanti, lui le sorrise e l'accompagno' adagio verso l'ambulanza. Gli infermieri l'aiutarono a salire, lei si volto' un'ultima volta a guardare con riconoscenza il giovane poliziotto, angelo salvatore, che la stava salutando con la mano. Dietro di lui la nonna sorrise, si aggiusto' le ali , diede una carezza  a Nicola e spari' nella notte.

                                                           Fine

Marisa Cappelletti

                                                                                                                           

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