Ieri sera dovevo partecipare, in un locale tipico milanese dalle
parti di Viale Monza, alla presentazione di un libro.
Non conosco né il nome dell’autore né il titolo del libro e
me ne dispiaccio, ma dovevo solo vedere il posto e rendermi conto di come il
distributore della Casa Editrice che mi ha pubblicata presenta i libri.
Sono uscita da casa, con altre persone, alle 18, 15,
convinti tutti che ce l’avremmo fatta benissimo per le 19.
Illusi!
Non abbiamo tenuto conto del traffico, ma soprattutto del
traffico del sabato sera! Ma dove vanno tutti il sabato sera?
Mi sono trovata immersa in un fiume fermo di auto disciplinatamente
(noi a Milano siamo cosi’: guidatori di solito disciplinati e rispettosi di
semafori, divieti ed altre piacevolezze) in attesa di fare un…passo avanti dopo
l’altro.
Ho potuto cosi’ apprezzare con tutta la calma possibile, una Città immersa, oltre che nello smog, nella
luce magica dell’inizio serata, scintillante delle mille luci di vetrine e
palazzi, animata da una marea inarrestabile di persone di ogni età e razza che
camminavano, attraversavano, parlavano, ridevano, si cercavano. In fondo non c’era
alcun bisogno di altro: lo spettacolo era tutto li’ nei viali e nelle vie di
Milano.
Il Corso piu’ lungo d’Europa, Corso Buenos Ayres, era come
una gran dama vestita da sera, adornata
da mille diamanti che, trasformati in vetrine, lucevano di mille colori, i
rumori del traffico attutiti dai finestrini chiusi dell’auto non disturbavano lo spettacolo.
Certo, poi ci sono sempre gli inconvenienti anche nelle
migliori rappresentazioni: ci siamo persi nei meandri di una periferia non proprio
tranquilla e per niente sicura.
Abbiamo costeggiato gli antichi docks di Via Ferrante Aporti, tutti ormai chiusi da
tempo, i muri trasformati in tele imbrattate da mille
writers disperati, la strada sporca di
tutto, i ponti sotto la ferrovia che è meglio, molto meglio non frequentare, le
strade deserte dietro Viale Padova, la
paura che l’auto si potesse fermare in questo novello inferno metropolitano.
Fortunatamente non si è fermata e siamo riusciti a tornare
su Viale Monza, rinunciando per sempre al localino tipico ed alla presentazione
informale ed alternativa. Di alternativo ne avevamo già avuto a sufficienza.
E cosi’, ancora
immersi nel fiume immobile di auto pazienti (ma poi quando arrivano a
destinazione, dove mai vanno a parcheggiare tutti quanti?), abbiamo preso la
coraggiosa decisione di andare in un locale dalle parti di Piazza Sant’Ambrogio. Ma, se non è serata non è serata, passando davanti al Museo della Scienza e
della Tecnologia abbiamo dovuto fermarci perché da un inquietante e gigantesco
tir tutto nero stavano scaricando qualche cosa di evidentemente prezioso (forse
opere d’arte, quadri o chissà cosa), infatti la via era ingombra di guardie
armate piu’ inquietanti del tir! Riusciti
poi a passare, sorpresa: in Sant’Ambrogio non si va perché è tutto transennato
per qualche lavoro misterioso, dunque giro a vuoto e, indovinate? Altra full
immersion nel fiume di auto.
Alle 22 circa abbiamo deciso che non tentavamo nemmeno la via
dei Navigli perché li’, la sera, sia sul Naviglio Grande che su quello Pavese,
non è possibile, data l’enorme frequentazione, parcheggiare né figuriamoci poi
cenare.
Ci siamo ritrovati alle 22,30 seduti intorno al tavolo di un
ristorantino sotto casa di una persona del gruppo, a pochi metri di distanza
dalle nostre abitazioni.
E’ stata un’avventura che io ho trovato comunque piacevole,
se si escludono il mal di schiena per la seduta troppo lunga in auto, le code
interminabili, le ambulanze che sfrecciano, i sensi vietati, i quartieri
pericolosi.
Concludendo:
-Che hai fatto sabato sera?-
-Sono uscita in auto!-
E niente fu mai piu’ vero di questo.
Marisa Cappelletti
Lassa pur ch'el mund el disa
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