domenica 24 gennaio 2016

Racconto per una sera di festa

Se volete, mettetevi comodi e preparatevi ad una storia inquietante che si svolge nella Milano di oggi.
E' un racconto pubblicato da Fabbri Editori nella collana Scrivere.
Le autrici sono Marisa Cappelletti cioé io e Paola Roela, valida e brava compagna di scrittura in questi ultimi anni su 20Lines, il piu' noto sito italiano per scrittori.

                                        Novecento rosso sangue


Milano, ore 00.00

Antonio era soddisfatto del suo lavoro. Controllare la tante sale del nuovo Museo del Novecento dopo la chiusura lo faceva sentire importante, responsabile di tutto quel patrimonio artistico. Ormai si prendeva la libertà di chiamare per nome i vari maestri che avevano lì esposte le loro opere, li sentiva vicini, ci era entrato in confidenza.
Era arrivato al secondo piano nella Sala Fontana, la sua preferita. La magnifica installazione luminosa faceva risaltare con discrezione i quadri in penombra e le vetrate si aprivano su una Piazza Duomo quasi deserta, resa magica dalla luce dei lampioni ottocenteschi e dalla leggera bruma che stava avanzando.

All’improvviso, mentre osservava le guglie del Duomo alla sua destra, la mente registrò in quella pace un’inquietudine palpabile e crescente, un’oppressione non spiegabile e, senza una ragione apparente, Antonio sentì tutto il sangue in circolo affluirgli al cervello, tingerlo di un rosso bollente e scoppiare violento e denso in pensieri di morte.
Urlando si lanciò con una potenza sovrumana contro i vetri blindati sfondandoli e precipitò sull’antico pavé della piazza tra l’indifferenza della folla assente.
La forza ignota ed estranea al luogo, causa ed effetto del furioso suicidio, andò a nascondersi quieta e per il momento appagata dietro uno dei Concetti Spaziali di Fontana concedendo alla nebbia di prendere possesso del luogo attraverso le vetrate infrante.

Anna era rimasta sconvolta dal suicidio di Antonio. Lo incontrava la sera: lui arrivava, lei lasciava il suo posto alla reception. Era sempre stato una persona allegra, educata, niente le avrebbe mai fatto supporre che dietro le apparenze ci fosse qualche cosa di così tragico.
La mattina in cui il suo corpo fu rinvenuto sotto il Museo, la Sala da cui si era lanciato, nonostante l'aria fredda fosse entrata per tutta la notte, fu inspiegabilmente trovata caldissima, come se un fuoco fosse arso lì per tutta la notte e nessuno seppe spiegare questa strana escursione termica. Anna aveva portato, con la collega Giulia, dei fiori davanti ai vetri infranti. Un ultimo gesto gentile per una brava persona. Ma si era sentita a disagio lì, come se qualcuno la stesse osservando con occhio malefico. Se ne era andata in fretta convinta di essere condizionata dalle circostanze.

Ora, nella sala monografica, stava passando davanti alla scultura di Martini. La inquietava sempre un po' quell'uomo che spingeva con tutta la sua forza quella lastra di granito. Guidata da mani invisibili si trovò davanti all'uomo di pietra ad osservare terrorizzata i suoi occhi rossi che la fissavano attraendola. Da sotto Giulia la chiamava, ma lei era completamente ipnotizzata da quello sguardo. Avanzò ed avanzò fino a quando con uno scatto improvviso i piedi della statua spinsero la lastra contro di lei. E la schiacciò al suolo come un vecchio giornale schiaccia una mosca molesta.
Quando Giulia raggiunse la sala Martini vide Anna a terra scomposta, irriconoscibile, immersa nel sangue, ed iniziò ad urlare.

Il sangue scorreva dai muri fino a terra: una cascata luccicante, un forte odore rugginoso, le statue si agitavano minacciose, un vento caldissimo, soffocante ed invisibile fischiava tra le pareti.
Giulia era diventata lei stessa una statua. Il terrore le paralizzava il corpo e la mente, la rendeva incapace di tutto!
Le statue si alzarono dai loro piedistalli e cominciarono ad avanzare con tonfi cadenzati, calpestando quel che rimaneva del corpo di Anna, verso la ragazza.
Le facce tutte uguali, stravolte da una espressione d'odio puro.
La disperazione, unita all'istinto di sopravvivenza, si fece strada nella mente della ragazza che iniziò ad indietreggiare verso le scale.
Quella sarabanda infernale non le lasciava un attimo di tregua. Il cervello impazzito riusciva solo a realizzare che doveva scappare.
Si girò di scatto, il piede scivolò sul sangue che ormai ricopriva tutta la stanza, i gradini parvero scomparire sotto di lei e Giulia precipitò in quello che le era parso un pozzo nero.
Sbattè violentemente il capo su ognuno di quei gradini ed alla fine rimase immobile ai piedi della scala.
Nella sala, ogni cosa al suo posto, tornò il silenzio.

Il giorno dopo, sul posto, giunse il Commissario Luigi Saviani, con il suo vice, Matteo Guidi e un'altra donna che presentò alla direttrice del Museo, Stefania Argenti, come una collaboratrice esterna delle forze di polizia. Il Commissario, nell'osservare la scena, si rese conto che si trattava di un'indagine complessa e che, suo malgrado, forse, la presenza della loro aiutante misteriosa, sarebbe stata utile. La donna, infatti, era una sensitiva, che, a volte, veniva utilizzata nei casi di sparizione ed effettivamente, in più di un'occasione, le sue indicazioni si erano rivelate utili, se non preziose. Quando era arrivata la chiamata per le due morti avvenute al Museo, la donna, presente durante la conversazione telefonica, aveva insistito per accompagnarli e alla fine, il Commissario aveva ceduto. Le aveva raccomandato, però, di tenere nascosta la sua identità e di non parlare con nessuno. Lei avrebbe solo dovuto cercare di capire cosa fosse successo quella notte e se vi fossero, all'interno del Museo, fenomeni paranormali.

Mentre la signora Stefania parlava animatamente con il Commissario, la sensitiva chiuse gli occhi, concentrandosi e cercando di percepire qualcosa. Immediatamente, avvertì una presenza malvagia. Inspirò a fondo, tentando di concentrarsi ulteriormente per saperne di più. Sentiva che si trattava di un'anima trapassata, piena di odio, di rancore, di invidia. Sì, soprattutto invidia era quella che avvertiva. Il risentimento di un pittore poco noto, nei confronti di altri artisti più famosi. Ed ora, quell'anima inquieta intendeva vendicarsi, non certo degli artisti, ormai passati a miglior vita, come lui, ma di coloro che li avevano preferiti a lui, anche nella cura e nella manutenzione delle loro opere. Come gli attuali addetti al Museo. E la sua ira, si sarebbe rivolta anche verso chi avrebbe osato ostacolarlo. "Siamo tutti in pericolo" disse la donna, aprendo gli occhi.

Il Commissario la fulminò con lo sguardo, evidentemente infastidito dal fatto che la sensitiva non avesse ubbidito alle sue direttive. La direttrice del Museo guardò, perplessa la donna e le chiese "In pericolo? Perchè? E come fa a saperlo?" poi rivolse il suo sguardo al poliziotto, come a chiedere se ci si potesse fidare di lei. "La signora non è autorizzata a parlare e non lo farà, non qui!" disse in tono autoritario, tentando di mascherare la rabbia. La sensitiva abbassò la testa ma sussurrò "Così lo sta aiutando" "Basta così!" intervenne il vice commissario "Lei può andare. Ci rivedremo in centrale fra un paio d'ore" "Se sarete ancora vivi" biascicò la donna tra i denti, e, senza proferire altro, lasciò la sala.

Il Commissario lanciò un'occhiata di apprezzamento al suo vice, ma la signora Stefania li incalzò "Forse c'è qualcosa che dovrei sapere, non vi pare? Ci sono stati tre morti nel giro di due giorni, qui dentro, e la vostra aiutante dice che potremmo morire tutti!" disse, aumentando, senza rendersene conto, il tono della voce.

Improvvisamente si levò un vento fortissimo, caldissimo e soffocante, che, senza che potessero resitere, li sospinse nella Sala Fontana. Qui l'installazione luminosa sembrava impazzita, i raggi di luce si rincorrevano in un vortice che appariva demoniaco. Il vento continuava a soffiare anche se, ora, i tre non ne sentivano il sibilo, nè il calore, ipnotizzati, dinanzi a quello spaventoso spettacolo di luce.
Di colpo, tutto si fermò. Il vento cessò e l'installazione luminosa tornò allo stato originale.

Il Commissario e la direttrice si riscossero dalla trance "Che diavolo è successo?" chiese, furioso, l'uomo, senza accorgersi che Matteo, il suo vice, ancora ipnotizzato, si stava dirigendo verso l'installazione luminosa. Prima che potesse fermarlo, Matteo raggiunse il centro, e lì, i raggi di luce, senza che emettesse alcun suono, tagliarono il suo corpo in quattro pezzi.
Saviani, pur abituato a fattacci e delitti, rimase immobile ed una paura senza nome né confine si impadronì di lui mentre i quattro pezzi del corpo del suo vice si agitavano ancora nel sangue.
L'Argenti impazzita di terrore gli si buttò addosso invischiandolo in un abbraccio che il commissario neppure avvertì.

Il vento caldissimo riprese a soffiare furioso e la vetrata panoramica, appena sostituita, scoppiò
lanciando milioni di frammenti di ogni dimensione nella sala e nella piazza.
I due furono infilzati in ogni parte del corpo da pezzi di vetro trasformati dall'esplosione in micidiali pugnali. Quattro lunghi frammenti penetrarono con precisione negli occhi dei poveretti, facendone scoppiare i bulbi. Le preziose tele presero a bruciare e, mentre il fuoco avvolgeva tutto in un abbraccio infernale, un urlo agghiacciante coprì le ultime grida delle vittime.
Le fiamme si propagarono per il museo, ruggendo corsero per le sale distruggendo tutto: quadri, sculture, oggetti rari e preziosi. Da Piazza del Duomo la polizia, i vigili del fuoco, resi impotenti dalla violenza e dalle dimensioni dell'incendio ed una folla impaurita e muta assistettero increduli all'infernale fine del Museo del Novecento.

Poco lontano, seduta su una panca della chiesa di Sant'Alessandro, la sensitiva cercava di entrare in contatto con quello che in quel momento era il Male: lo spirito devastato e devastante del pittore sconosciuto. Improvvisamente l'organo iniziò a suonare e sulle sue canne, diventate rosse come il sangue apparve una scritta nera e bruciante: ICH KOMME WIEDER.
Non era ancora finita.
                                      

                                                           Fine



Marisa Cappelletti e Paola Roela
2013 Scrivere Fabbri Editori







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