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Alla Corte del Duca
Dame, cavalieri e notti oscure
Per un momento, un ultimo momento, mi vidi riflesso nello specchio d’acqua verde ed immobile : il viso invecchiato, il
collo cosparso di piaghe gonfie e sanguinanti, le mani rugose, il petto ansante
ed incavato, la bocca aperta in un grido muto.
Soltanto ieri c'erano
la gioia, il vigore e la giovinezza . Ieri, così vicino eppur distante .
Chi ero mai?
Oh lo sapevo bene chi o meglio cosa ero divenuto! Cibo per
due esseri sconosciuti, gioco per un
crudele connubio umano e bestiale, giullare per il divertimento di insospettabili
demoni.
L'avevo vista alla festa di Ludovico Sforza: lei, unica fra
tutte. Il suo sguardo allusivo mi aveva subito sedotto, si era lasciata sedurre
in un istante.
La sua condizione di sposa non ci aveva fermati.
Al Castello, nei parchi, a caccia o ai balli, solo noi. Nel
silenzio delle torri, nei talami di compiacenti dame, nelle gelide segrete,
solo noi. Travolti da una passione che
non potevamo né volevamo soffocare, impossibile da celare.
Poco tempo per la nostra, o meglio la mia, felicità.
Poi un giorno, nelle sue stanze, la porta spalancata
all’improvviso, il ghigno stravolto del duca
suo marito, il lampo crudele negli occhi di lei, lucenti di una malignità mai
immaginata, la complicità famelica di orribili creature.
Il mio sangue sui loro denti aguzzi, le mani di lei che stringono
la mia gola con una forza non umana, il corpo divenuto di pezza buttato in una
piccola gabbia nella torre piu’ remota a fredda, imprigionato come un cinghiale
in attesa della macellazione. Le mie
invocazioni inascoltate, le suppliche che rimbalzavano sulle pietre e si
perdevano nel nulla.
Una preda, una stupida preda per due anime unite in un’unica gigantesca ombra scura che avvolgeva
il maniero, coinvolgeva la corte tutta, dame e cavalieri stretti o forse
costretti in un cerchio infernale, mostri vaganti per oscuri sentieri in cerca
di rossa ambrosia per le loro gole assetate.
Un patto con forze oscure e crudeli .
Con la mente sconvolta ed il corpo invecchiato, invano cercai di sfuggire
all’orrore quando, in un mattino di
nebbia lei, sazia ed inebriata dal mio sangue, lascio’ il chiavistello della
gabbia aperto.
Fuori dal Castello , oltre il ponte levatoio, giù verso il
lago! Una lenta disperata fuga dal mio destino.
Alfine, fiaccato nel vecchio involucro ormai di sole ossa,
senza più speranza né respiro mi inginocchiai rassegnato davanti allo specchio
d’acqua verde.
Un grido prolungato, un fruscio minaccioso sopra di me: il vampiro dalle ali di raso, la donna che avevo amato, scese in picchiata
su di me, gli artigli affondarono nei
miei occhi disperati.
Un attimo, un solo attimo: un lampo e l’inesorabile falce
d’argento calò definitiva sul mio capo canuto.
E finalmente per me fu la notte.
Marisa Cappelletti
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