domenica 6 ottobre 2019

Inizio

Vorrei scrivere una storia e queste sono le prime righe.
Non sono mai completamente di fantasia i miei personaggi, infatti Paola ed Alessandro erano i miei nonni e di conseguenza Elettra la bisnonna che ho avuto la fortuna di conoscere da bambina.
 Nonna Paola

La Casa

Paola ed Alessandro la videro per la prima volta nel 1916, quando lui torno’ per una licenza di tre giorni dal fronte, ma  lei esisteva già da tempo: dipinta di bordeaux ed ocra,  2 piani che si affacciavano su una piccola piazza e 3 su due vie laterali che portavano ai magazzini della Stazione Centrale.

L’appartamento da affittare era al secondo piano. Due  stanze enormi,  una dentro l’altra, un lavandino in pietra, il grande camino ed  il wc in comune con gli altri appartamenti del piano. Che allora era davvero un lusso! Due piccoli balconcini con parapetti lavorati a fiori che si affacciavano sulla via piu’ trafficata : il tram passava direttamente li’ sotto e lo sferragliare delle ruote di ferro infastidiva non poco.

Le scale erano bellissime: salivano in semicerchi formati da gradini in marmo grigio fino al terzo ed ultimo piano, ci si poteva appoggiare a corrimani in legno lucido e guardare su o giu’ attraverso  ringhiere formate da volute di foglie e fiori in ferro battuto.  Il soffitto dell’ultimo piano dominava la casa tutta con un affresco  a colori tenui e delicati raffigurante cherubini paffuti e rosei con piccole ali di piume, corolle di rose tutt’attorno e soffici nuvole bianche sullo sfondo di un cielo turchino.

Paola rimase incantata ed  intimidita dalla casa: troppo elegante, silenziosa. Ed anche il piccolo giardino con due imponenti magnolie e piante di rose ovunque, una panchina per sedersi a leggere,  un lavandino in pietra, tutto l’aveva lasciata senza fiato.

Lei veniva da Gorla,  un quartiere popolare li’ vicino, dove tutti si conoscevano, entravano ed uscivano in continuazione da porte sulla strada lasciate sempre aperte, i bambini correvano ovunque schiamazzando, la nonna, la mamma e le zie andavano insieme alle altre donne a lavare i panni  nella Martesana, gli uomini, primo fra tutti zio Angelo, il gagà, quando il lavoro in fabbrica era finito, si trovavano all’Osteria del Binari per un bicchiere  di rosso  in compagnia, mentre papà Alfredo tornava a casa, sedeva al tavolo di cucina silenzioso e timidissimo, la testa tra le mani e se ne stava li’ fino all’ora di cena. 

Era il suo modo di riposare.
Parlava pochissimo 
: era un uomo gentile, i figli sapevano che voleva loro molto bene, ma che  era incapace di dirlo né di dimostrarlo con qualche affettuosità, era troppo timido.
 
Mamma Rosa invece era la classica massaia milanese: sempre in movimento, sempre a sgridare qualcuno, figli o nipoti o vicini che fossero, lei gestiva la casa, il marito. la famiglia ed anche il vicinato: la crocchia di capelli biondi stretta sulla nuca, il grembiule teso sul seno florido, gli occhi penetranti sempre all’erta. Era lei il capo! 

Alessandro era invece orgogliosissimo di essere riuscito a trovare quella casa. Lui era nato a Firenze da una famiglia importante che, poco dopo la sua nascita era caduta in disgrazia, come si diceva, aveva perso le proprietà in campagna ed anche il bel palazzo vicino a Ponte Vecchio, come se non bastasse il padre s’era ammalato ed era morto a soli quarant’anni. Mamma Elettra aveva fatto le valigie, preso i due figli e si era trasferita a Milano, da una prozia che le aveva ceduto un bell’appartamento in Via Padova. 


Prima o poi continuero'...





Marisa Cappelletti  


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