mercoledì 26 dicembre 2018

Un nome francese per un indimenticabile inglese

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Etienne

Avevo un cane.  No, un cane è riduttivo. 
Avevo un compagno di vita, mia figlia l’aveva chiamato Etienne.
Me l’avevano regalato alcuni parenti  che vivevano in campagna e, purtroppo per loro e per tutti gli uomini e gli animali, amavano la caccia.
-Vieni-  avevano detto- Abbiamo una bella cucciolata di setter inglesi, vieni e scegline uno!-
Mio marito scelse per me:  -Ho preso il piu’ vispo dei maschietti- disse orgoglioso porgendomi un batuffolo bianco e arancio da cui spuntavano due lunghe orecchie, un bel tartufo (è il naso dei cani per i pochi che non sanno) nero ed umido e due occhioni nocciola spalancati dalla paura.
Tremava. Lo presi tra le braccia come si tiene un bimbo sperduto, gli parlai piano carezzando la piccola testa con un bozzo in cima, lo scaldai con un mio vecchio golf.
Li’ inizio’ il nostro percorso d’amore.
Si tranquillizzo’ quasi subito e li’, purtroppo,  comncio’ anche la sua turbolentissima vita da cucciolo scatenato. Che prosegui’ con la sua vita da adulto non solo scatenato, ma completamente anarchico.
Non dormiva se non sdraiato sul mio stomaco, calmato solo dal battito del mio cuore, non ne voleva sapere di star fermo, salvo poi crollare a terra di botto, tramortito dalla stanchezza, mangiava qualsiasi cosa ritenesse degna di essere ingerita:  dalla carne trita con verdure ai fiammiferi da cucina, dall’acqua fresca della sua ciotola all’acqua e ipoclorito di sodio usati per igienizzare i pavimenti  allagati dalla sua irrefrenabile urina, dai miei sandali nuovi ai boxer di mio marito,  alle farfalle che poco piu’ tardi gli uscivano dalla bocca spalancata svolazzando di traverso mezzo stordite.   
Cresciuto e diventato autonomo, almeno nel sonno e nei bisogni primari, non ubbidi’ mai, nemmeno per una volta soltanto, ai miei richiami che diventavano timide  imposizioni per poi ridursi a suppliche disperate! Mi guardava con gli occhioni nocciola che sfidavano ad andarlo a prendere, con la testa alzata ed un atteggiamento  di superiorità distaccata, tipicamente inglese. E faceva quel che gli pareva.
In vacanza era l’incubo non solo della mia famiglia ma di tutto l’hotel: non si poteva  lasciarlo solo in camera per qualche minuto che subito iniziava ad abbaiare e saltare sulla porta e se stava zitto era peggio perché significava che stava combinando qualche cosa di irreparabile. Come rubare le scarpe dei vicini passando sotto i divisori dei balconi, e come ci passava lo sapeva solo lui, per poi portarle sul letto ed abbandonarle li’ in bella mostra dopo averle distrutte.
Quando il mare era grosso lui si tuffava felice e si faceva dei giri interminabili al largo, sordo ai miei richiami ed indifferente alle onde. E la sera, quando speravamo di poter stare seduti nel nostro piano bar preferito, ci toccava smpre andarcene alla prima canzone perché a lui piaceva da morire duettare con il cantante. Devo ammettere che non era un bel sentire.
Adulto si dedico’ alla caccia alle lucertole sul terrazzo. Chissà per quale ragione a quell’epoca il mio grande spazio all’aperto pullulava di quei simpatici rettili. E lui se ne stava per ore a puntarle: zampa anteriore alzata, coda dritta, atteggiamento perfetto! In fondo era un cane da ferma e ce l’aveva nel sangue!
In vecchiaia continuo’ a coltivare la sua personale anarchia, ma con piu’ calma.
Poi si ammalo’. Lo curai notte e giorno,  dormii sdraiata vicino a lui, lo tenni abbracciato come lo tenevo da cucciolo. E quando venne il suo momento  se ne ando’ stretto a me, accompagnato dal mio amore e dalle mie lacrime.
Oggi, Santo Stefano, voglio ricordarlo con gli occhi nocciola che mi guardano con dolcezza, la posa aristocratica, la lunga coda che fende contenta l’aria, la gioia che mi ha saputo regalare in tanti anni d’amore.  




Marisa Cappelletti



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