Il colore stava riempiendo la tela dell’azzurro del cielo e del mare e all’improvviso,
ma come tantissime altre volte, tutto torno’.
Allora, in quel tempo maledetto, il sole non mi scaldava piu’
ed il mare, allontanandosi, mi chiedeva in continuazione:
-Che cosa hai fatto?-
Poi tornava implacabile chiedendo ancora:
-Che cosa hai fatto?-
E la testa mi scoppiava, la voce gridava, tutto vorticava
intorno e…E Giacomo, il mio adorato bambino, non c’era piu’. Era ormai
scomparso per sempre inghiottito da quella distesa trasparente perché io mi ero
distratta a dipingere nuvole.
Un giorno, uno dei tanti giorni disperati, mi ritrovai con
il corpo immerso nel mare, i piedi che avanzavano, la mente piena soltanto del
rumore della risacca.
Le onde allungavano le braccia verso di me, il corpo
ubbidiva alla schiuma bianca, gli occhi aperti in un mondo liquido aspettavo la
pace o la fine, non so.
Due braccia robuste mi afferrarono per le spalle e mi
trascinarono fuori dal mio inferno, nonostante la mia resistenza e le mie urla.
-Eva? Signora Eva?-
Aprii gli occhi e mi ritrovai ad un almo dal naso il viso
preoccupato di Olga, l’infermiera della
clinica sulle montagne dell’Engadina in cui vivevo la mia vita senza senso da non so piu’ quanto ormai.
-Che succede cara? Perché questi lamenti? Ora prendiamo una bella compressa rosa ,
misuriamo la pressione e per oggi lascimo perdere questo quadro, va bene?-
Si’ lasciamo perdere il quadro che mi fa ancora tanto male e
scordiamoci tutto con un bel sonno chimico che, in fondo, è tanto simile alla morte ed è l’unico altro
rimedio ai ricordi insani ed ai rimpianti dolorosi.
Poso’ il pennello e rinchiuse i pensieri confusi, i ricordi terribili, inghiotti’
la pastiglia rosa ed attese l’oblio.
Marisa Cappelletti
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