martedì 9 agosto 2016

Per Agata

Forse a chi non ha un cane come compagno di vita quanto segue potrà sembrare esagerato, ma chi ha o ha avuto la fortuna di averne uno, saprà comprendere tutto l'affetto che ho messo in queste righe.
Questa é la vera storia di Susie, diventata per sua e mia fortuna, Agata.



Dalla parte di lei


Eh si', sono una lei.
Dolce, amorevole, golosa, non piu' giovane, innamorata persa della mia famiglia.
Anche io, come loro, non ho avuto una vita facile, anzi. Rinchiusa, legata, usata, affamata e poi abbandonata in mezzo al nulla in una gabbia con tre maschi aggressivi e prepotenti.
Mi hanno portata via dopo sette anni di prigione e privazioni, mi hanno portata in un posto sconosciuto, lavata, addormentata, forse curata.
Al mio risveglio i cuccioli che portavo dentro non c'erano piu'. Sei, erano sei,gli ultimi di non so nemmeno io quanti.
Fortunatamente ho perso il conto.
Pensano che noi non soffriamo quando ci tolgono i figli, forse nemmeno ci pensano. No, non é cosi': li cerchiamo disperatamente, piangiamo in silenzio, abbiamo sentimenti, siamo madri che perdono i loro piccoli, dunque disperate.
Poi anche per noi la vita continua.
E la mia girava cosi' giorno dopo giorno, anno dopo anno. Non ho mai conosciuto un prato verde, non ho mai saputo cosa significasse abitare in un posto caldo d'inverno e fresco d'estate, riparato dalla pioggia e dal vento, dormire sicura senza svegliarmi ogni minuto, piena di apprensione e paura.
Quando mi hanno portata via da quell'inferno ho avuto ancora paura: un viaggio su qualche cosa che si muoveva e che mi faceva rovesciare lo stomaco, i tavoli di metallo sui quali mi tenevano ferma per guardarmi da vicino, farmi il bagno, darmi medicine e poi farmi addormentare per togliere una parte di me e lasciare in cambio una lunga ferita che bruciava.
Mi hanno messa in una gabbia piu' bella si’ di quella dei miei anni precedenti, ma sempre gabbia, con un altro inquilino ed io me ne stavo nascosta dietro di lui, non capivo, non volevo vedere nè sentire.
Ma li' almeno potevo mangiare ed anche bere. Quanta fame e quanta sete ho sofferto per sette anni!
Un giorno ho sentito una voce al di là della rete della gabbia. Mi chiamava. Era calma, sommessa, dentro c'era qualche cosa che non conoscevo ma che mi attirava, un qualche cosa che mi dava sicurezza. Non mi sono avvicinata, no, ma ho sporto la testa da dietro Ugo, il mio coinquilino, ed ho incrociato due occhi che mi sorridevano.
Ho avuto un tuffo al cuore: potevo perdermi in quegli occhi, sorridere anche io. Il giorno successivo la persona è tornata. Mi hanno fatto uscire dalla gabbia e lei mi ha portata a passeggio con grande invidia di tutti i miei vicini. Per me era un mondo sconosciuto quello che mi stava intorno, un mondo pieno di suoni, di odori, di cose. Volevo tornare nella penombra della mia gabbia, non volevo cambiare ancora.
Due giorni dopo me ne sono andata via. Con la proprietaria della voce e degli occhi che mi avevano conquistato.
Probabilmente anche io avevo conquistato lei.
E' stato un cammino lungo e faticoso per tutti. Lei ed anche il resto della mia famiglia hanno avuto una pazienza infinita con me: mi hanno insegnato un sacco di cose: ho imparato a fare le scale, a correre. Si', a correre! non sapevo si potesse correre nei prati, nei parchi, sentire l'aria che ti accarezza tutto il corpo e poi rotolarsi nell'erba per goderne il fresco ed il profumo. Ho imparato a non aver paura di quelle che ora so chiamarsi moto ed automobili, a mangiare un sacco di cose buone.
Avete mai mangiato la pasta col ragu'? E' una delizia paradisiaca!
Ho imparato a non mordere piu' il maschio di famiglia, perché lui é diverso da quelli che c'erano nella gabbia: lui mi parla con affetto, mi accarezza e mi dà, di nascosto, anche i suoi biscotti. Adoro poi la mia sorella grande, quella umana, anche se per farmi le coccole mi schiocca certi baci cosi' sonori che non ci sento piu' per un'ora.
Ma lei, lei, quella che mi ha salvata, lei riempie tutto il mio cuore. Io per lei farei e darei tutto, per lei mi sono trasformata da segugio quale dicono io sia in body-guard. Non avvicinatevi, non fatele del male: divento una belva!
Per lei io mi sforzo ogni giorno di capire, di fare, di comportarmi al meglio. Mi ha subito dato fiducia ed io l'ho ripagata e continuo a farlo, con una dedizione assoluta.
Ce ne andiamo a spasso per parchi. Io libera di fare quel che voglio, lei sicura che non me ne andro', non combinero' nulla di brutto. Sa che non mi deve nemmeno chiamare perché, finito il mio giro, sono io che cerco lei. Non potrei vivere senza di lei!
Quando mi sono ammalata, beh, non proprio ammalata, avevo ingerito un arnese in metallo che mi faceva star male, mi hanno portata tutti insieme all'ospedale, mi sono stati vicini. Quando mi sono svegliata dopo l'operazione ho incontrato subito i suoi occhi, pieni di apprensione ed affetto, cosi' ho saputo, l’istinto è l’istinto, che sarei tornata a stare bene, che sarei guarita.
Ed ora sono qui, a casa mia, nel suo studio, con lei, a raccontare la mia vita. Siamo stati tutti fortunati, devo ammetterlo: io ad incontrare lei e la famiglia, naturalmente, lei e loro ad accorgersi di me.
Ah, piacere di conoscervi. Io mi chiamo Agata, sono un segugio italiano, dicono bella anche se ultimamente, causa vita felice, agi e cibo, sono ingrassata.
E lei, non so come dire, ma lei é la mia vita, l'amica piu' cara, colei che mi ha salvata, la mia seconda mamma, quella che mi ama senza condizioni quella che, sono sicura, amero' per sempre.


Marisa Cappelletti







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